È servito uno schiaffo a farmelo capire. Non tanto il bruciore che mi sta facendo pulsare la guancia, ma i suoi occhi quando mi ha colpito. Quello sguardo così maledettamente da uomo, convinto di poterti possedere, usare e poi gettare via. Tutto questo e tante altre cose erano racchiuse in quello sguardo. Mentre mi colpiva mi è parso di percepire tutto al rallentatore. Ho scorso addirittura il luccichio della sua fede all'anulare poco prima di abbattersi sulle mie labbra e spaccarle. Dalla carne lacerata è schizzato del sangue. L'ho visto fendere l'aria e poi infrangersi sulla sua camicia. Non appena sono crollata a terra il tempo ha ripreso a scorrere normalmente. Lui mi ha guardata senza pietà, sibilando che mi sarei meritata di peggio e se n'è andato. In quel momento ho capito che tutto ciò che gli era rimasto di me era una macchia di sangue sulla sua camicia candida. E questo mi ha fatto più male del ceffone in sé. Tutte le cose che ha dato per scontato, tutte le mie emozioni, i miei sentimenti, le mie speranze, tutto travolto dall'uragano del suo egoismo. Mi ha picchiato e lasciato per terra, quando gli avevo chiesto solo di amarmi. Ma questa volta ha sbagliato. Sono una donna. Amo in una maniera incondizionata, è vero. Ma so anche odiare. Nella stessa maniera. In un modo in cui i maschi non possono nemmeno immaginare. Mi rialzo da terra. Mi osservo riflessa nella vetrina del suo ufficio. Ora capirà dove può arrivare una donna col cuore a pezzi. Sorrido.
* * *
C'era sempre stata un'intesa particolare tra noi. Attrazione fisica, di sicuro, e una strana complicità. Ma non c'era mai stata un'occasione precisa, che so, quella manciata di secondi di debolezza dove uno sguardo, un bacio o una carezza possono rovesciare tutte le certezze. Noi non eravamo mai arrivati a quel punto. Fino a quando una mattina lui entrò in bagno e mi trovò in un angolo in lacrime. Era stato molto carino. Si era avvicinato e aveva cercato di consolarmi. Mi aveva addirittura fatto sorridere facendomi notare che mi trovavo nel bagno dei maschi. Non me n'ero accorta; quand'ero scoppiata a piangere in ufficio ero corsa verso i bagni senza nemmeno stare a distinguere tra il nostro e quello degli uomini. Gli avevo spiegato che era un momento molto difficile per me. Mio padre stava morendo, e io non riuscivo ad accettarlo. Lui fece una cosa che mi colpì profondamente: si aprì. Aveva già vissuto quell'esperienza qualche anno prima, con suo padre. La sua voce profonda, con una stupenda cadenza lenta, ebbe il potere di tranquillizzarmi. Per sdebitarmi lo invitai a prendere un caffè, e ci scambiammo i numeri di cellulare. Iniziò a mandarmi degli sms molto dolci. E io cominciai ad aspettare con trepidazione quei messaggi che scandivano le mie giornate. Lui aveva il potere di farmi sentire speciale; lui capiva; lui c'era già passato, ne era uscito, e voleva aiutarmi. Per questo la notte in cui mio padre morì chiamai lui. Non mio marito che si trovava fuori per lavoro, e nemmeno la mia migliore amica. Cercai lui. Gli confessai che avrei voluto che fosse lì con me in quel momento. Sapevo che non sarebbe mai venuto; era un uomo sposato, aveva una famiglia. Invece mi stupì. Quando aprii la porta, rimanemmo qualche istante a fissarci, poi ci baciammo come se avessimo trattenuto quel bacio per troppo tempo. Lo trascinai nella mia camera e lo spinsi sul materasso. Avevo bisogno di lui, del suo corpo, di averlo dentro di me per scacciare il dolore. Lo baciai con furia, spogliandomi davanti al suo sguardo febbrile. Mi guardava in un modo che mi faceva sentire così donna, così desiderata, che sentii il mio sesso fremere e bagnarsi come mai prima. Lui se ne accorse e mi prese con quelle mani grandi e forti, portando la mia pelle a contatto con la sua bocca bollente. Mi tormentò i seni e i capezzoli con i denti e la lingua, mentre le sue dita si insinuavano nelle tenere pieghe della mia carne, facendomi gemere e contorcere tra le sue braccia, le mie anche che si strusciavano contro le sue gambe, cercandolo. Mi strappò gli ultimi vestiti di dosso e mi penetrò con violenza, impadronendosi di me come se solo in quel momento potesse finalmente dare sfogo alla sua vera natura. Quando le sue spinte crebbero d'intensità e le mani strinsero le mie natiche con più forza, inarcai la schiena per lasciare che entrasse fino in fondo dentro di me. Soffocò le mie grida di piacere con un bacio, mordendomi le labbra fino a farle sanguinare. Venimmo insieme. Dopo, mentre riposavamo abbracciati sulle lenzuola umide di sudore, mi disse che era stato stupendo, come mai prima per lui. Forse mentiva, ma io gli credetti, e mi accucciai tra le sue braccia, desiderando soltanto che continuasse a stringermi forte.
Continuammo a vederci in segreto. Con lui non c'era nessuna inibizione e amarci fino a rimanere senza fiato sembrava essere il nostro unico bisogno. In ufficio non riuscivo più a concentrarmi sul lavoro: la mia mente era costantemente attraversata da istantanee dei nostri momenti passati insieme. Lui era una via di fuga dalla mia vita. Era brivido e perversione. Era il tremito del proibito, l'eccitazione del segreto. Ma per me stava diventando anche qualcos'altro. E anch'io per lui. Questo mi faceva paura, ma lui mi faceva sentire troppo bene; sentivo che ero pronta a sacrificare tutto per continuare a essere amata e desiderata in una maniera così totale. Anziché lavorare chattavamo a poche scrivanie di distanza l'uno dall'altro, e a turno andavamo in bagno spogliandoci e scattandoci foto che ci inviavamo come MMS sul cellulare, per attizzare il fuoco che ci avrebbe travolto appena ci fossimo trovati soli. Una volta mi scrisse di raggiungerlo nella stanza delle fotocopiatrici. Lo feci, un po' titubante, e una volta dentro lui chiuse a chiave la porta e mi tirò giù la gonna. Provai un brivido di paura al pensiero che potessero scoprirci, ma bastò che lui si inginocchiasse e serrasse le sue dita sulle mie cosce perché io abbandonassi quei pensieri, perdendomi nelle carezze bollenti della sua lingua che sembrava cercare un varco nella mia carne. Mi scopò su una scrivania, chiudendomi la bocca con una mano. Il fatto che fosse tutto così proibito non fece altro che aumentare a dismisura la nostra eccitazione. Ma quella storia così bella iniziava ad avere dei contraccolpi sulle nostre vite coniugali. Io non riuscivo più a stare nella stessa stanza con mio marito per più di cinque minuti; tutto in lui mi sembrava così mediocre che a stento riuscivo a concepire come mai avessi potuto sposarlo. Non riuscivo più a farmi toccare da lui. Accampavo scuse su scuse. Probabilmente intuì che avevo un altro, ma non me lo chiese né io glielo dissi. Lo guardai fare le valige. Non feci nulla per impedirgli di andarsene. Ora avrei potuto dedicarmi completamente all'uomo che amavo e che mi amava. Ero finalmente libera.
Fu solo uno dei tanti errori. Tutto cambiò da quel momento. Lui cambiò. D'improvviso era come se avesse avuto paura, come se in qualche modo avessi tradito le regole del nostro rapporto. Mi ero lasciata coinvolgere troppo. Divenne sfuggente. Non mi sentivo più speciale. Più il tempo passava, più lui scivolava via. Un week-end insieme, una cena fuori o una semplice camminata al parco, di colpo divennero impossibili da ottenere. E adesso ero io a sentirmi tradita, a sentirmi così sola da impazzire. Non poteva pensare che fossi soltanto un corpo da scopare e poi gettare via, non dopo tutto ciò che c'era stato tra noi e che avevo sacrificato per lui. La gelosia fu la miccia. La paura di perderlo il detonatore. Cominciai a spiarlo. Avevo bisogno di sapere se aveva un'altra. Fuori dall'ufficio lo pedinavo. Lo osservavo mentre faceva la spesa con la famiglia, guardavo con invidia le carezze e i sorrisi complici che scambiava con sua moglie. Diventò una dolorosa abitudine. Appena si allontanava un attimo dall'ufficio controllavo la sua casella di posta elettronica e il suo profilo su Facebook. Rubargli le password fu semplice. Aveva usato la data di nascita della figlia. A casa non facevo altro che leggere i suoi messaggi entrando nelle pieghe di quella vita a cui non mi era più permesso di accedere. Gli diedi un po' di tempo, pensando che fosse ciò di cui avesse bisogno. Smise di rispondere ai miei messaggi. Finché un giorno lo affrontai direttamente. Gli chiesi cosa fosse cambiato tra noi. Disse che mi ero illusa, che avevo voluto troppo, che lui non poteva darmi ciò che desideravo. Gli chiesi se la nostra fosse solo una storia di sesso. Mi rispose di sì. Scoppiai a piangere. Io lo amavo, e sapevo che anche lui mi amava però non riusciva a staccarsi dalla sua famiglia. Ma io dovevo averlo, io avevo bisogno di lui, e lui aveva bisogno di un mio aiuto per comprendere cosa fosse meglio per sé. Sì, gli serviva una mano. Usai la sua identità su Facebook e pubblicai tutte le nostre foto assieme e tutte le immagini erotiche che mi aveva spedito in quei mesi. Inviai a tutti i suoi contatti messaggi dove si diceva stufo di quella vita e incastrato in un matrimonio finito. Lo sputtanai. Lo feci per aiutarlo, perché lui aveva bisogno di una scossa per smuoversi e lasciare la moglie. Lo feci perché era l'unica cosa che potessi fare per squarciare la mia solitudine e averlo tutto per me. Lui non lo capì, perché gli uomini non comprendono mai l'amore delle donne. Il suo matrimonio entrò in crisi, nella stupida farsa dei tira e molla, ma lui non tornò da me. Mi sentii perduta e continuai a mandargli sms e a telefonargli. Continuò a ignorarmi. Come se non fossi mai esistita, e come se tra noi non ci fosse mai stato nulla. Non mi ha più parlato fino a stamattina. L'ultima mail ha fatto il suo lavoro. Ho scattato una foto di sua figlia all'uscita di scuola e l'ho allegata al messaggio. Furibondo, mi ha presa per un braccio e mi ha portato nel suo ufficio, dove ha iniziato a gridarmi contro che dovevo uscire dalla sua vita. Io gli ho detto che non avrei mai potuto farlo perché lo amavo. Ed è stato lì che mi ha schiaffeggiato. Solo allora ho capito che non mi aveva mai amato, che mi aveva soltanto usato. Soltanto in quel momento ho capito di essere stata ingannata. Quello che lui voleva era il mio corpo. Nient'altro. Di quello che c'era dentro, del cuore che pulsava per lui, dei miei sentimenti, non gliene era mai importato nulla. E sotto il peso lacerante di quella rivelazione, ho sorriso.
* * *
Sì, ora ho capito. Afferro un lembo della gonna. Strappo. Il suono del tessuto che si lacera è lo stesso del mio cuore che va a brandelli. Squarcio anche la camicetta. Ma non basta. Mi guardo attorno e la vedo, lì, sopra la sua scrivania. È piena delle sue impronte. Avvolgo la mano in un lembo di tessuto, l'afferro e la osservo. È una pinzatrice massiccia, tutta in ferro. È perfetta. Farà male, ma non importa. Anzi. Sarà come una sorta di punizione per essermi fidata e fatta ingannare. Sarà il mio castigo, ma soprattutto il suo. Sono una donna. E questa è la mia vendetta. Lo spigolo di ferro colpisce la guancia, lacerando la carne. Il sangue schizza e macchia il pavimento. Il dolore mi trafigge come una coltellata. Le lacrime solcano il viso e vanno a mischiarsi col sangue, attizzando il fuoco nella ferita aperta. Gemo di dolore. Ma non devo fermarmi. Continuo. Continuo a colpirmi finché il mio volto è una maschera rossa. Poi quando il tremore è così forte che non riesco più a stringere la pinzatrice la lascio cadere a terra. E faccio l'unica cosa che mi resta da fare. Urlo.
Sono passati pochi giorni. Lui è in carcere. Le mie accuse di stalking, percosse e violenza sessuale non sono state messe in dubbio nemmeno per un secondo dai poliziotti. Non con la faccia ridotta in quel modo, col mio sangue sulla sua camicia, con la scenata davanti ai miei colleghi, i messaggi ambigui su Facebook e le mie lacrime da oscar. Forse un giorno le mie accuse verranno smontate, ma sono riuscita nel mio intento: la moglie l'ha definitivamente lasciato. Quando l'ho saputo ho sorriso: se non poteva essere mio, non doveva essere di nessun'altra. D'altronde sono una donna, e nessun uomo può amare o odiare così intensamente come noi. Ora lo sa anche lui. Non sono pentita. Affatto. Ora non sono piu' sola. Molte persone mi sono vicine. Ne sento il calore, la vicinanza umana. E il riso.
I precedenti racconti sono usciti il 3,4,5 Agosto. TOPOR, TABLEAU DE CHASSE, 1980. IMMAGINE TRATTA DA TOPORLINO , ATELIER CLOT À PARIS
L'AUTORE