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Sull'attualità del vecchio Marx

La lettera
PARLATO VALENTINO, TOSI PIER LUIGI,

Caro Parlato, ho letto con forte interesse il Suo trafiletto di oggi sull'attualità di Marx. Io sarei ancora più deciso: dopo il 1989 la storia del mondo si è sviluppata come seguisse con incredibile fedeltà il copione di una sceneggiatura marxiana. Il potere economico che si concentra nelle mani di un numero continuamente più esiguo di individui e gruppi, le classi disagiate e anche medie che di conseguenza si depauperano senza fine, la mondializzazione del sistema che cancella ogni possibile eccezione, il pensiero unico che evangelizza gli angoli anche remoti della terra, la ricchezza personale che rimane incontrastato mezzo di misura, la megamacchina che comincia a fagocitare se stessa verso l'implosione totale: tutto, proprio tutto, conferma le tendenze preconizzate dal genio di Treviri. Paradossalmente, invece, gli eventi che consideravamo trionfali intorno agli anni Settanta, con il potenziamento delle nazioni del socialismo reale e la realizzazione di un avanzato stato del benessere in Occidente, erano ostacolo al disfacimento capitalista e motivo di serii dubbi sulla effettiva veridicità delle previsioni marxiane. E siccome i paradossi non finiscono mai, ancor oggi la vera (ultima?) ciambella di salvataggio del capitalismo è la Repubblica popolare cinese. Se è, mi pare, indubitabile che rapporti di produzione e di consumo siano inestricabilmente legati e che i privilegi dei primi si rispecchino e si rafforzino nei secondi, è non meno vero che alcune parti delle opere di Marx, di altissimo valore contemporaneo, siano state trascurate dall'ortodossia e dalla pratica politica marxiste. Su tali aspetti ha lavorato egregiamente la sociologia francese, da Georges Bataille all'insuperato Jean Baudrillard; i risultati della loro opera producono una linfa in grado di mantenere l'elaborazione marxiana in una condizione di forte vitalità.
Alla critica dell'economia politica di Marx andrebbe inoltre accostata oggi la critica del pensiero economico di teorici come Serge Latouche, propugnatori della cosiddetta decrescita. E' ciò che fa per esempio un convinto comunista come il professore Paolo Cacciari, fratello dell'ottimo filosofo e pessimo politico Massimo, o anche nella sostanza Piero Bevilacqua de La Sapienza di Roma. Sarebbe infine di grande vantaggio abbandonare la malintesa dicotomia struttura-sovrastruttura che, sia detto per inciso, nel tedesco di Marx suona Unterbau-Überbau, in una simmetria che non si riduce affatto al confronto di impari importanza tra uno scheletro portante e una mano di vernice. Da Giulietto Chiesa, ho saputo di un'impetuosa rinascita del partito comunista in Russia, che vede protagoniste le giovani generazioni e che elettoralmente conterebbe già per circa un quarto dei votanti. Si tratta pur sempre del più esteso paese, a cavallo tra due continenti. Ora che i comunisti russi hanno conosciuto il capitalismo per davvero, in una delle sue forme maggiormente brutali, non ripeteranno gli errori del passato.
Pier Luigi Tosi
(il testo integrale su www.ilmanifesto.it - "ManiMail")

Caro Tosi, ti ringrazio per la tua lettera e al tempo stesso chiedo scusa per i tagli apportati al testo qui pubblicato: l'integrale i nostri lettori potranno trovarlo sul sito. Scusa ancora. Sono molto d'accordo con il tuo intervento, molto colto. Quel che non mi convince è il punto sulla decrescita. Con tutto il rispetto per Latouche, del quale proprio nei giorni scorsi abbiamo pubblicato uno scritto. La decrescita mi sembra un assurdo: se la popolazione cresce ci vorrà pure una crescita della produzione di cibo. Di conseguenza - visto il caos della produzione capitalistica - si dovrebbe rivendicare una crescita qualificata sulla stessa linea della critica all'attuale nozione di Pil. Non decrescita, ma crescita qualificata e rispondente ai bisogni della domanda reale. Insomma non contro la crescita, ma contro il sovrappiù. Scusa ancora e grazie.

Valentino Parlato

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