CULTURA

La lotta armata inglese in una finzione postmoderna

ROMANZI - Dallo scrittore angloindiano Hari Kunzru «Le mie rivoluzioni» per Einaudi
ALBERTAZZI SILVIA,

Ruota intorno alla storia di un ex terrorista inglese che, alla vigilia del suo cinquantesimo compleanno vede crollare pezzo su pezzo il castello di menzogne sulle cui instabili fondamenta si è costruito una nuova identità, il romanzo di Hari Kunzru Le mie rivoluzioni, uscito da Einaudi a quattro anni dalla sua pubblicazione in inglese, nell'accurata traduzione italiana Andrea Sirotti. Convinto di avere riconosciuto in una passante la donna, da tutti creduta morta, con cui ha condiviso i giorni più oscuri della lotta armata e una passione amorosa difficile da dimenticarsi, il borghese Mike Frame, marito e padre di famiglia (che una volta era Chris Carver, rivoluzionario professante il libero amore) si lascia inghiottire dal ritorno di un passato sino a quel momento rimosso, che rischia di soffocarlo, alienandolo al contempo dalla sua tranquilla vita familiare e dai suoi affetti.
Attraverso il ricordo di Anna, la donna amata e perduta, bellissima musa e moglie di uno dei più acclamati fotografi della swinging London, di cui ha abbandonato fasti e feste per trasformarsi in impavida guerrigliera, Mike/Chris rivive gli anni della lotta, indagando quasi suo malgrado sulle motivazioni e le situazioni che, da giovane arrabbiato desideroso di cambiare il mondo, l'hanno portato a scegliere violenza e clandestinità. In un continuo alternarsi di presente e passato, verità e dubbio, paura e rimpianto, Kunzru descrive la progressiva perdita delle coordinate esistenziali di Mike (o Chris?), nel tentativo di salvare la propria identità acquisita, di mettere a tacere il passato. Un passato, però, che non si lascia zittire, ma che, anzi, riemerge offendo di sé una nuova visione, e nuove - e spesso inquietanti - possibilità interpretative.
Del resto, chi regge le fila della narrazione, lo scrittore inglese di origini indiane Hari Kunzru, ripercorre un tempo che, per ragioni anagrafiche, non può avere conosciuto. La sua descrizione degli anni di piombo nasce dalla ricerca d'archivio e dal sentito dire, dalle memorie altrui: pertanto, lo spirito del tempo è colto attraverso un complesso lavoro sui registri linguistici e sui documenti d'epoca, prima ancora che sulle psicologie dei personaggi. Volantini, proclami, espressioni gergali, terminologia propagandistica, da un lato; dall'altro, fotografie di quel periodo, dagli scatti artistici dei fotografi alla moda alle istantanee sgranate dei quotidiani: tutto contribuisce a conferire al romanzo il senso di una rilettura postmoderna di un passato finora occultato (la lotta armata inglese degli anni '70 non è stata sin qui oggetto di attenzioni privilegiate da parte né degli storici né dei romanzieri). Kunzru, per parlarne, si impossessa abilmente di un linguaggio altrui e ne smaschera al tempo stesso le incongruenze, le idiosincrasie, a suggerire l'impossibilità di venire a capo di una verità sottesa al discorso (pseudo)politico.
Emblematica in questo senso è la riconsiderazione cui Mike/Chris sottopone una famigerata foto in cui Anna è ritratta col pugno chiuso alzato, affacciata a una finestra dell'ambasciata di Copenaghen, dove tiene alcuni ostaggi sotto la minaccia della sua pistola, non molto tempo prima di venire uccisa. «Si è scritto moltissimo sul conto di Anna, e quasi tutto sbagliato. È stata ridotta alla donna nella foto di Copenaghen, con il pugno alzato alla finestra dell'ambasciata. È impossibile, credo, separare quel che è diventata da quel che era nel 1968», riflette Mike/Chris.
Così come arriva a dubitare della foto di Anna col pugno chiuso, mettendone in discussione non tanto la veridicità quanto l'interpretazione universalmente accettata, allo stesso modo Mike/Chris finisce col dubitare della propria identità, con il non sapersi più riconoscere nei propri comportamenti, presenti e, soprattutto, passati. E tuttavia, il dubbio sulla morte di Anna lo spinge sempre più a reinserire la propria esistenza in un continuum pericoloso che tanto faticosamente aveva smantellato, fino al punto, quasi, da scambiare il proprio ruolo con quello della donna amata, in un inquietante gioco delle parti: «Anna era viva. Era sempre stata viva. A mia insaputa, ci eravamo scambiati le parti. Ero io il defunto, la vecchia fotografia congelata nel tempo, neri che sbiadivano nel marrone, bianchi che ingiallivano con l'età».
Non si tratta, allora, soltanto per Mike/Chris di riconoscersi nel proprio passato per dare un senso al proprio presente (o viceversa), ma anche e soprattutto per il lettore (e l'autore) di dare un senso alla Storia (quella con la S maiuscola, sofferta e corale, ma spesso anche dimenticata o negata) attraverso la storia (minuscola, personale) di un individuo che, prima ancora che alle bombe e alle cariche di polizia, è sopravvissuto a se stesso. E anche se Le mie rivoluzioni sembra chiudersi sulla constatazione dell'impossibilità di conciliare problemi personali e politici, nonché di venire a patti con il passato, una delle tante interpretazioni offerte da Mike/Chris per la sua vicenda sembra contraddire questo pessimismo di fondo: «Se si crede nel libero amore - non nel senso di promiscuità, ma nel suo vero significato - come liberazione delle energie libidiche da ogni freno, da ogni controllo, il confine tra desiderio e azione diventa terribilmente sottile e permeabile. Considero realtà i miei desideri perché credo nella realtà dei miei desideri. »

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