CULTURA

L'arbitraria coercizione che toglie anche la vita

PAMPHLET
RESTA FEDERICA,

Carcere, ma non solo. Centri di identificazione ed espulsione; ospedali psichiatrici giudiziari; camere di sicurezza; questure: sono diversi e spesso dimenticati o, addirittura, ignorati i luoghi e i modi di privazione della libertà e della limitazione dei diritti, finanche fondamentali, di cui Luigi Manconi e Valentina Calderone parlano in Quando hanno aperto la cella. Stefano Cucchi e gli altri (Il Saggiatore, pp. 243, euro 19). Libro bello quanto importante, perché unisce alla forza espressiva della narrazione la valenza informativa dell'inchiesta giornalistica e la ricostruzione storico sociologica della gestione dell'ordine pubblico negli ultimi decenni, documentando la realtà di quei luoghi di diritti e libertà e negati attraverso storie di ordinaria ingiustizia.
Non solo Giuseppe Pinelli, Carlo Giuliani, Stefano Cucchi: i protagonisti-vittime di questo libro sono anche altre e meno note persone, a partire da Marco Ciuffreda, accomunate dall'aver subito, sino alla morte, violenze fisiche psichiche, o gravi carenze nell'assistenza, proprio per mano, o comunque per responsabilità, di quei pubblici ufficiali che ne avrebbero dovuto garantire l'incolumità e proprio nel momento di maggiore fragilità, quale quello della soggezione alla coercizione e al potere altrui.
Ciascuna di queste vicende descrive realtà che troppo spesso caratterizzano i luoghi dell'esclusione, e che troppo spesso vengono dimenticate, ignorate, celate. Non a caso definite secretae, le carceri sono da sempre luoghi di separazione ma anche di interruzione del dialogo, in cui il silenzio e l'esclusione dallo sguardo altrui non sono che gli aspetti più nascosti degli arcana imperii e dell'asimmetria del potere. Come anche gli altri luoghi dell'esclusione e della negazione delle libertà e dei diritti che il nostro ordinamento dissimula sotto forme diverse e a volte mendaci: così, ad esempio, il «trattenimento» nei centri di identificazione e di espulsione è espressamente qualificato e disciplinato come misura amministrativa e non penale, al fine di sottrarlo alle (pur minime) garanzie della giustizia penale. E tuttavia rappresenta una delle più incisive forme di limitazione della libertà e dei diritti fondamentali, come dimostrano molti, troppi, fatti di cronaca, alcuni dei quali ricostruiti dagli Autori con una forza narrativa che restituisce corpo e realtà a vicende troppe volte lasciate nell'ombra.
Dalla concretezza delle vicende individuali riaffiora così la tensione tra libertà e coercizione, diritto e forza, legalità e legittimità; il corpo ferito e vilipeso di Stefano Cucchi diviene così il simbolo di uno Stato che ha tradito la sua stessa, ultima, ragion d'essere: l'uso legittimo della forza per garantire a ciascuno non solo la sicurezza ma, in primo luogo, l'incolumità.
E se questa è la patologia, nel libro non c'è solo la pur importante e doverosa denuncia dell'abuso di potere. Ripercorrendo queste vicende di omissioni e violenze, gli Autori si interrogano sulla legittimità delle stesse forme legali di privazione della libertà, di un diritto che diviene ingiusto se e quando consente la negazione dello stesso nucleo essenziale dei diritti fondamentali e, soprattutto, della dignità delle persone.
Storie come quella di Giuseppe Uva ci inducono così a chiederci se sia legittimo, ad esempio, il (pur legale) trattamento sanitario obbligatorio, come effettivamente realizzato, in un ordinamento la cui Costituzione vieta i trattamenti sanitari coattivi che violino i «limiti imposti dal rispetto della persona umana» e, quindi, della sua dignità.
Vicende come quella di Eyasu Habteab dimostrano come norme fortemente discriminatorie, quali quelle previste in materia di immigrazione, diffondano un vero e proprio «razzismo istituzionale» di cui il cosiddetto reato d'immigrazione clandestina è solo l'ultimo esempio.
Ma ciò che accomuna tutte le vicende narrate nel libro è l'invisibilità di ogni forma di violenza subita da persone private della libertà, in un ordinamento, quale il nostro, che ancora non prevede il reato di tortura, nonostante proprio per esso (e solo per esso) la Costituzione sancisca un espresso obbligo di tutela penale. E, a dimostrazione dell'asimmetria della nostra giustizia penale, proprio per i fatti di violenze ed abusi subiti da persone detenute interviene, quasi sistematicamente, la prescrizione, a privare le vittime di una sia pur minima forma di giustizia e ad annullare ogni possibilità di fare luce su queste vicende (ne hanno scritto Patrizio Gonnella su queste pagine e Valerio Onida sul «Corriere della Sera»). Anche per questo il libro di Luigi Manconi e Valentina Calderone ha il valore altissimo di una coraggiosa operazione-verità.

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