POLITICA & SOCIETÀ

Clandestini fuori dal Duomo

MASSA
ROVELLI MARCO,MASSA

Un'altra battaglia, dopo la gru di Brescia e la torre di Milano. Oggi il teatro della lotta è il centro di Massa. Sette ragazzi africani - quattro senegalesi e tre marocchini - domenica scorsa sono entrati nel Duomo di Massa e hanno detto che non se ne sarebbero andati prima di avere un risultato. Tutti loro, tranne il portavoce Lamine, sono stati truffati in occasione del decreto flussi colf-badanti del 2009. Anche loro, come molte migliaia di immigrati, hanno versato migliaia di euro a qualcuno che aveva promesso di regolarizzarli con un posto di lavoro, ma questo qualcuno era un truffatore, si è volatilizzato lasciandoli nello stato di clandestinità da cui avevano sperato, finalmente, di potersi emancipare. E «quando non c'è nulla da perdere, in una lotta c'è tutto da guadagnare», come ha detto Lamine durante la prima assemblea, sulla scalinata di marmo della cattedrale, agli italiani che con un passaparola erano accorsi (e va reso merito all'Assemblea antirazzista antifascista di Massa di aver innescato da tempo un percorso al fianco e a sostegno degli immigrati), e agli altri immigrati solidali con i loro fratelli. Non è stato un caso, ovviamente, che sia stato il primo maggio il giorno d'inizio di questa lotta, il giorno della festa dei lavoratori - perché di questo si tratta: di lavoratori senza diritti. Lamine dei diritti li ha (anche se può essere sempre cacciato nella clandestinità perdendo il lavoro): ma lotta al fianco dei suoi compagni perché ha una coscienza politica forte, un senso di solidarietà che latita sempre di più, di questi tempi. Al fianco di Madiaw, per esempio, che è ancora clandestino, anche se all'Italia ha quasi sacrificato una mano. È successo due anni fa, quando lavorava in una fabbrica di insaccati a Melegnano. Una piccola ditta a conduzione quasi familiare, dov'erano in dodici a lavorare, e tre di loro clandestini. Con contratto regolare, però, erano solo in due. Un giorno la macchina alla quale lavorava Madiaw, una macchina che mescolava le carni del maiale, gli ha preso il braccio e stava per portarselo via. È stato un mezzo miracolo, e a Madiaw è rimasto solo uno sfregio ben visibile sull'avambraccio. Lo portarono in auto all'ospedale, «Dì che sei caduto in bicicletta, poi quando guarisci ti mettiamo in regola, stanno facendo la sanatoria». Madiaw è rimasto con i chiodi nel braccio per sei mesi. Poi, quando è tornato dai padroni, questi gli hanno detto «No, guarda, non è possibile per noi, ci dispiace». Madiaw ci ha provato ad andare per vie legali, ma nessuno testimoniava che effettivamente lavorasse là: non quelli che erano in regola per non perdere il posto, non i clandestini perché i clandestini in tribunale è meglio che non ci vadano... Così è caduto in mano a una signora in cerca di un badante per sua madre ottantenne, così si era presentata. Truffa facile facile, basta una scheda telefonica da disattivare qualche giorno dopo aver ricevuto i soldi dalla vittima in cambio di una ricevuta che non ha alcun valore legale.
Vicende come quelle di Madiaw sono migliaia e migliaia in Italia. Soldi versati a cooperative come a privati, spariti nel nulla. Un immigrato spesso non conosce la lingua, né la legge, sente che c'è la possibilità di essere messo in regola, si fida, e si affida. È questione di vita, per lui. Una legislazione asimmetrica come quella italiana, che pone l'immigrato in una costante condizione di minorità, e in una posizione di totale dipendenza dal datore di lavoro, produce quasi naturalmente questi casi. La sanatoria per colf e badanti ha portato nelle casse dello Stato 154 milioni di euro, ma per gli immigrati non c'è stata alcuna tutela.
Ai sette del Duomo di Massa è arrivata la solidarietà di quelli che lottavano a Brescia e a Milano - tranne quelli di loro che sono stati deportati quando sono scesi dalle loro postazioni su in alto - a mostrare che solo in un'esposizione assoluta al rischio si può tentare di uscire dall'invisibilità. Questo rischio, Lamine, Madiaw e gli altri sono disposti a correrlo.
Hanno occupato il Duomo perché è la casa di Dio, e «la casa di Dio è l'unico posto in cui non siamo irregolari». Una rivendicazione dei fondamenti dell'universalismo, ovvero di un umanismo integrale. Ma, dopo le prime due notti passate nel chiostro del Duomo, la curia ha fatto capire che se ne dovevano andare, altrimenti avrebbe chiamato la polizia. I ragazzi hanno accettato. Adesso dormono in strada. L'incontro col questore è stato abbastanza positivo, ma adesso ci vuole una risposta chiara da parte della magistratura, un via libera alla concessione del permesso di soggiorno per motivi di giustizia. I ragazzi dormono in strada, per andare fino in fondo, per non tradirsi. È una questione di fedeltà, e non solo a loro stessi.
* Scrittore, tra i suoi lavori «Lager italiani», «Lavorare uccide», «Servi», da cui è stato tratto l'omonimo spettacolo teatrale con la regia di Renato Sarti del Teatro della Cooperativa.

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