CULTURA & VISIONI

Se ne va McCracken, minimalista per caso

ARTISTI Al Castello di Rivoli è in corso una sua retrospettiva
DEL DRAGO ELENA,

All'indomani della sua morte, il percorso artistico di John McCracken appare come una tra le testimonianze migliori della difficoltà espresse dall'estabishmen artistico nel comprendere la complessità di un lavoro come il suo, essendo interessato principalmente a catalogare, iscrivere in un preciso contesto, evitare tante complicazioni e distinguo, anche di tipo storiografico. L'artista statunitense, che passerà alla storia come uno dei maggiori esponenti storici del Minimalismo, è morto venerdì notte a Manhattan all'età di settantasei anni, proprio mentre al Castello di Rivoli è allestita una retrospettiva del suo lavoro (a cura di Andrea Bellini, fino al 19 giugno, Catalogo Skira) che consente al visitatore, fin dal primo sguardo, di trovare la conferma dell'etichetta storico-artistica con la quale è stato consacrato. Primarie sono, infatti, alcune delle sue forme - assi, piramidi, cubi - che hanno costituito tanto la fortuna critica di McCracken quanto la sua principale limitazione.
Dopo gli studi presso il California College of Arts di Oakland, poco distante da Berkley dove era nato nel 1934, McCracken aveva sviluppato un iniziale interesse per la pittura geometrica, che sembrava anticipare i futuri sviluppi scultorei. Alcune pere su tela esposte a Rivoli, come Look (del 1962), dotate di un vocabolario formale basico e fortemente cromatico, sono l'immediato antecedente di sculture successive come Mykonos, un parallelepipedo azzurro mare dedicato all'isola greca, o ancora Blu Post and Lintel I, un pilastro con architrave entrambi blu, come indica con esattezza il titolo. Realizzate nei primi anni Sessanta, erano perfette per essere assimilate a quanto stavano concretizzando e teorizzando, sull'altra costa degli Stati Uniti, i ben più celebri minimalisti, Carl Andre, Donald Judd, Dan Flavin.
Nel 1966, infatti, anno chiave per la nascita ufficiale del gruppo cui sarebbe successivamente stato ascritto, McCracken si dedicava a opere dal lessico ridotto all'estremo, monocrome e dalle forme archetipiche come i suoi blocchi, realizzati in rosso, in verde, in blu o in marrone, o le celebri planks, delle semplici assi colorate, appoggiate dall'artista al muro con una leggera inclinazione. Così, il curatore dell'ormai leggendaria esposizione Primary structures, al Jewish Museum di New York, non mancò di includerlo in questo momento espositivo dedicandogli un'attenta analisi nel testo in catalogo. Un testo che Kynaston McShine scelse di cominciare così: «Il progresso e le innovazioni realizzati in tutti i campi artistici nel corso del ventesimo secolo sono stati favoriti dall'azione dell'artista in termine di di riesame e ampliamento delle definizioni della propria particolare attività o medium espressivo ... la pittura e la scultura sono state spinte, in misura ancora maggiore rispetto alle altri arti, a mettere alla prova le definizioni primarie e gli elementi estetici di base». Una perfetta introduzione a quella riduttività al grado zero che la generazione degli artisti minimalisti statunitensi hanno sentito di dover intraprendere, soprattutto per allontanarsi dal debordate autobiografismo degli Espressionisti astratti. Ma già da queste poche righe, ponendo l'accento sull'aspetto teorico che ha accompagnato la nascita del Minimalismo, Mcshine mette inconsapevolmente una grande distanza tra i membri più ortodossi del gruppo e McCracken, che ha più volte confermato come, tra i suoi interessi principali, non ci sia uno sforzo intellettuale quanto visivo: «I miei oggetti sono visuali. Sono meno il prodotto di un'elaborazione intellettuale che quello di uno sforzo di visualizzazione». La sua attenzione, insomma, privilegiava la resa estetica, la piacevolezza, la possibiità seduttiva della scultura e della pittura, confermate quando si osservano da vicino le sue opere: rivestite con cura, tramite resina di poliestere e fibra di vetro, fino a renderle oggetti lucenti e scintillanti che, anche per l'appartenenza culturale di Mccracken alla California del sud, ci permette subito di accostarle alla tipica attitudine West coast, al Finish Fetish, e più in generale alla passione per la customizzazione degli oggetti: delle macchine, per esempio. Un'impressione rafforzata poi, quando le assi lavorate da McCracken, vengono marmorizzate perdendo dunque l'aspetto monocromo, così da fare pensare alle tavole da surf, o comunque al ritorno a una gestualità anticipata da pitture mandala, realizzate negli anni Settanta. Non si potrebbero immaginare sviluppi più distanti dal radicalismo di certi autori minimalisti. Le opere di McCracken, infatti, contengono anche la convinzione di rappresentare il senso dell'esistenza, come dice l'artista stesso nella bella intervista a Marianna Vecellio nel catalogo della mostra da lei curato: «Le mie opere sono come le persone, non è affatto facile che la loro esistenza si dissolva del tutto. Mantengono perennemente il senso dell'esistenza, dell'essere e della loro personalità». Una tensione confermata, e anche un po' banalizzata, nella questione relativa agli Ufo che così spesso si mette in relazione al lavoro di Mc Cracken, tanto da farlo considerare l'artista della fantascienza per antonomasia. Spesso, infatti, egli ha dichiarato di avere avvistato oggetti volanti e si è detto convinto che circolino tra noi, ma tutto ciò non fa che testimoniare lo sforzo dell'artista californiano per realizzare un'opera che tenga conto della dimensione temporale, e che in alcuni lavori si può davvero toccare con mano.
In Sagittarius, un prisma in acciaio, per esempio, il presente e il futuro si incontrano, se non altro per le generazioni a venire dei visitatori che continueranno a specchiarcisi, e ci parla dunque di un'intelligenza proiettata nel tempo, ben più del famoso monolite nero che chiude 2001 Odissea nello spazio di Kubrick e che molti, quando è uscito il film, hanno scommesso - venendo regolarmente smentiti - che fosse proprio opera di John McCracken.

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