LIBRI: LA COSTANTE PRATICA DEL GIUSTO MEZZO; IL LACCIO SCARLATTO, MARSILIO, 2010
La traduzione, che secondo George Steiner è «forma del pensiero e della comprensione», attività fondata sul costante e (s)concertato trasmigrare di parole, ritmi e idee tra epoche e territori linguistici e culturali, può venire attualizzata anche nella forma di un'etica «della differenza», ossia di una scelta di apertura e accoglienza dello straniero, secondo la felice immagine del traduttore e teorico Antoine Berman, malgrado la storia e la teoria delle letterature le riservino una presenza marginale. All'impresa della ricezione nei confronti di un mondo culturale assai remoto è dedicata la preziosa collana di classici cinesi con testo a fronte diretta da Tiziana Lippiello per la Letteratura Universale Marsilio, basata sull'intento di tenere insieme la componente evocatrice e comparativa di testi fondamentali nel pensiero e nella produzione letteraria dell'antica Cina. La scelta di appaiare i caratteri cinesi alla traduzione italiana ripropone, anche simbolicamente, il confronto tra originale e versione, la coesistenza quasi ossimorica tra il proto e il metatesto, «due frammenti riuniti» che Benjamin riteneva completarsi in un'unica lingua, più grande.
Le due prime uscite della collana, La costante pratica del giusto mezzo a cura della stessa Tiziana Lippiello e Il laccio scarlatto (a cura e con la traduzione di Barbara Bisetto), attingono nel primo caso alla tradizione filosofico-sapienziale di matrice confuciana, con un piccolo classico risalente a un periodo compreso fra il III e il I sec a. C., nel secondo caso al parallelo universo della narrativa in lingua letteraria (wenyan), con una raccolta di novelle tra l'amoroso e il fantastico d'epoca Tang (618-907). Sono due generi cruciali della letteratura cinese: da un lato la prosa confuciana, dove si manifesta la dimensione etica nella quale deve costantemente muoversi l'uomo in una «transizione dalla sfera individuale a quella sociale e da quest'ultima alla natura», fondata essenzialmente sul rispetto del li, la norma rituale; dall'altro, il chuanqi, racconto colto di ispirazione fantastica, divertissement che consentiva tuttavia ai letterati di far baluginare, pur nella medesima cornice e visione morale del mondo, spazi di fuga in cui sublimare le passioni, il desiderio, la fantasia e il sovrannaturale, senza infrangere i delicati equilibri della norma stessa: evocando - come scrive Bisetto nell'introduzione - «un mondo ordinato», dove però «la norma cede il passo alla finzione».
Il breve trattato, adeguatamente trasposto nello stile di iconica semplicità che caratterizza la sintassi confuciana, spiega cosa sia questa pratica di mediana e armoniosa temperanza, che sollecita l'uomo nobile d'animo ad agire «conformemente alla condizione che gli appartiene», senza tuttavia rinunciare a «perfezionare se stesso» in una comprensione olistica e transitiva dell'azione umana: «volendo perfezionare se stesso, non può non offrire il proprio servigio ai familiari; volendo offrire il proprio servigio ai familiari non può non avere contezza degli altri; volendo avere contezza degli altri, non può non avere contezza del Cielo». Il testo costituisce uno dei percorsi più classici del pensiero confuciano, oggi più che mai riproposto dai governanti cinesi in chiave nazionalista e formativa, a controbilanciare il forsennato e destabilizzante ritmo del progresso economico e della trasformazione sociale. «Autenticità interiore» e «forza morale» sono i valori cui l'uomo dovrà aspirare, non tanto o non solo per raggiungere quella medietà di aristotelica memoria che ripudia ogni eccesso, bensì per conquistare un senso delle convenienze e una perfetta consapevolezza e stabilità del sé: egli «rimane al centro e non inclina da nessuna parte e non muta il proprio comportamento (...) anche quando la Via non prevale più». Il nucleo del pensiero confuciano rimanda a una visione etica dell'esistenza umana, in cui conviene all'uomo accorto mantenere una fermezza morale interiore, pur nella capacità di adattarsi, senza mutare il proprio comportamento al mutare delle condizioni esterne.
Opposto, seppure intrinsecamente complementare, è il mondo delle fantasie narrative dei chuanqi, popolato da letterati ambiziosi fuorviati da amori impossibili e conturbanti. Il titolo fa riferimento alle affinità elettive, nel mito cinese un filo rosso di predestinazione che unisce sin dalla nascita gli innamorati. Arricchite da suggestioni magiche e fantasmagorie del cuore, le relazioni amorose di cui si racconta ribadiscono la normatività del rito confuciano nel rapporto di coppia: coniugale e vincolato a dettami d'ordine sociale e familiare secondo il li, libero ed elettivo solo nei sogni e nella letteratura. La traduzione, elegantemente rispettosa del wenyan originale, addentra il lettore nelle vicende di giovani talentuosi e belle fanciulle (cliché e sottogenere narrativo dell'antica Cina), sottomessi a un ordine sociale e morale superiore, in cui le donne si muovono esclusivamente nello spazio privato delle emozioni (qing) spesso indomite e in contrasto con le ambizioni maschili di affermazione nello spazio pubblico. Esemplificativo della complementarietà cui soggiacciono nel modello olistico del pensiero cinese tradizionale i due mondi - quello della ragione confuciana e quello del sentimento personale - l'ultimo racconto della raccolta, «La storia di Li Wa» ha per protagonista un giovane di nobili origini, che per amore di una fascinosa cortigiana, infrange le convenzioni fino a smarrire la propria identità di figlio e membro della casta intellettuale e a rischio della propria stessa vita. Nel racconto, il pernicioso e temporaneo prevalere dei sentimenti sulla norma - «potenti brame riposano nelle relazioni tra uomo e donna (..) quando la passione li conquista nemmeno il volere dei genitori può nulla per controllarla» - viene ricondotto a paradigma sociale grazie al matrimonio: riconosciuta la priorità delle relazioni sulle quali, secondo La costante pratica si modula «la Via Suprema al mondo», la devianza individuale (e sociale), dopo essersi manifestata nello spazio metaforico delle infinite possibilità dell'esistenza, rientra nella medietà del rito sociale, allorché educazione e consapevolezza fanno pervenire l'uomo alla «spontanea realizzazione dell'autenticità interiore», ossia a totale perfezionamento della natura umana, del sé. Paradossalmente, ma con profondi e poetici risvolti, le passioni - nella lettura confuciana dell'avventura umana - sono allo stesso tempo ostacolo e viatico di un simile percorso di perfezionamento morale e di temperanza. L'inattingibile conciliazione tra norma e ambizione umana (zhi) quando questa si traduca in passione - secondo Daniel Hsieh, che ne ha scritto in Love and Women in Early Chinese Fiction, caratterizza la fenomenologia dell'amore in Cina trovando dimora solo nella dimensione letteraria.