LETTERE E COMMENTI

LA BATTAGLIA FINALE CONTRO LA COSTITUZIONE

BERLUSCONI
GALLO DOMENICO,

Nel programma di guerra di Berlusconi alle istituzioni dello Stato di diritto, al primo posto c'è il regolamento dei conti con l'indipendenza della giurisdizione. Le aggressioni (e le intimidazioni) di Berlusconi contro i magistrati, che per la natura della loro funzione devono esercitare il fastidioso compito di controllare il rispetto delle regole da parte di tutti, sono una costante da 17 anni, da quando l'eroe è «sceso in campo» per liberare l'Italia dal giogo dei comunisti. Poiché nel nostro ordinamento esiste anche un giudice delle leggi, neppure la Corte Costituzionale è stata risparmiata da aggressioni furiose che l'hanno additata al disprezzo dell'opinione pubblica, persino nell'ambito di consessi internazionali, nei quali il nostro uomo non ha avuto vergogna di attaccare a testa bassa tutte le istituzioni di garanzia del Paese da lui rappresentato. Dal momento che 17 anni di mezzucci, di leggi ad personam, di riforme volte a paralizzare la giustizia e ad allargare le maglie del controllo penale non sono serviti a niente, soprattutto per interventi correttivi della Corte Costituzionale, alla fine tutti i nodi sono venuti al pettine. Il prigioniero politico Berlusconi sa di essere arrivato allo scontro finale: o riuscirà a sbarazzarsi del controllo di legalità esercitato nei suoi confronti e in quelli dei suoi sodali (vedi i casi Previti e Dell'Utri), o il suo potere rimarrà travolto.
Il nemico è sempre lo stesso, non i giudici, ma la Costituzione, che distribuisce ed equilibra tutti i poteri impedendo ogni forma di dittatura della maggioranza, ovvero di onnipotenza da parte di coloro che esercitano i poteri politici. Proprio perchè il nemico è la Costituzione, al vertice dei «nemici politici» di Berlusconi non ci sono i pm di Milano ma la Corte Costituzionale, organo che i padri costituenti hanno voluto indipendente, con l'incarico di reprimere gli abusi dalle contingenti maggioranze politiche, a garanzia della rigidità della Costituzione. Insomma, la Carta non si può cambiare a colpi di maggioranze parlamentari, neanche se lo si fa a fin di bene, vale a dire al fine di assicurare quell'immunità al Capo politico Silvio Berlusconi, che il nostro ordinamento si ostina a riconoscere soltanto al Papa. Se esiste ancora in Italia l'indipendenza della giurisdizione (ed i pm possono ancora esercitare l'azione penale nei confronti di Berlusconi e dei suoi sodali quando violano le leggi penali), ciò è dovuto al fatto che la maggioranza politica non può cambiare la Costituzione a suo piacimento, perché le leggi possono essere giudicate e cancellate dall'ordinamento - se incostituzionali - dal giudice della leggi.
Se la Costituzione di Arcore, che considera la persona di Berlusconi sacra ed inviolabile come lo Statuto Albertino considerava la persona del Re d'Italia, non è ancora entrata in vigore, non lo si deve all'ostinazione dei giudici ordinari, ma alla resistenza dei giudici della Corte Costituzionale che continuano a svolgere il loro compito di «Guardiani della Costituzione». Berlusconi ha capito benissimo che, per regolare i suoi conti con il potere giudiziario, l'ostacolo vero di cui deve sbarazzarsi è rappresentato dalla Consulta. Non c'è più tempo da perdere. Per questo ha promesso che il suo governo farà approvare - a tambur battente - dalla sua maggioranza parlamentare una riforma complessiva del sistema giustizia, mettendo al primo posto una riforma che serve a porre fuori gioco la Corte Costituzionale.
Si tratta di una vecchia idea inserita nel progetto di riforma Calderoli, accantonato prima ancora di essere presentato. I propositi sono stati espressi in modo chiarissimo: l'obiettivo principale è abbattere il controllo di legalità costituzionale esercitato dalla Corte Costituzionale. La Corte non verrebbe cancellata, rimarrebbe in funzione come un'istituzione decorativa, senza nessuna possibilità di interferire con gli abusi di potere del Capo e della sua maggioranza parlamentare che potranno fare strame della Costituzione e dei suoi principi di giustizia, libertà ed eguaglianza, senza tema di essere sconfessati. Si tratta di un obiettivo talmente importante che Berlusconi è disposto a correre il rischio del referendum che pende su tutte le riforme costituzionali approvate a maggioranza. Poiché Berlusconi ha trasformato la maggioranza parlamentare in un bivacco di manipoli, l'ultima parola sulle modifiche della Costituzione spetterà al popolo. Siamo pronti a ripetere la mobilitazione del 2006 che ha consentito di affossare il primo tentativo organico di Berlusconi di sbarazzarsi della Costituzione nata dalla resistenza?

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