Aldo Carra (Il manifesto del 18 gennaio) è riuscito a sintetizzare in tre questioni i problemi che «la sinistra deve discutere per non restare abbarbicata dentro il vecchio modello di sviluppo», peraltro sempre più inceppato a causa delle sue contraddizioni interne: a) quali settori economici possono trainare la riconversione degli apparati produttivi; b) quali relazioni devono instaurarsi tra i diversi livelli di governo: locali, nazionali, globali; c) quali soggetti possono guidare la trasformazione sociale. Carra ci chiede di farlo senza cadere nel vecchio mito della «programmazione» e senza pensare di voler insegnare il mestiere ai padroni.
Provo a dare delle risposte secche.
1)Non si tratta, a mio avviso, "solo" di scegliere la bicicletta all'automobile, la verdura all'hamburger, il sole al nucleare, il riciclo all'usa e getta... ma di applicare un principio guida trasversale ad ogni «settore merceologico» e prescrivere delle specifiche tecniche concretamente misurabili (con nuovi indicatori che vadano oltre il pil): la decrescita dei flussi di energia e di materie prime impegnati nei cicli produttivi e di consumo.
2)Oggi vi sono 500 società multinazionali che controllano il 52% del Pil mondiale. Una concentrazione di potere gigantesca, terrificante, pericolosissima. Una piccola casta di cosmocrati (i Chief Executive Officier e gli Ad delle conglomerate) tengono i scacco non solo l'economia e la finanza, ma gli stati.
Innescare un processo di de-globalizzare dell'economia, di decentralizzazione, di ri-territorializzazione e di trasferimento dei poteri al basso, diventa quindi l'imperativo principale per la difesa di qualsiasi idea di democrazia.
3)I soggetti che possono essere interessati ad un simile progetto di cambiamento di modello e di sistema sono: il terzo dell'umanità che ancora cerca di coltivare la terra, resiste all'espropriazione del suolo e dell'acqua, ai pirati del germoplasma, alla industrializzazione dell'agricoltura per l'esportazione, ecc. Insomma, i popoli indigeni che abbiamo trovato ai controvertici di Cancun sulla giustizia climatica;
un altro terzo dell'umanità lo incontreremo al Social Foruma di Dakau, emarginato e accatastato negli inferni degli slums, delle bidonville, nelle banlieue... delle megalopoli, immenso esercito di riserva da cui vengono attinti i moderni schiavi industriali per le fabbriche del mondo;
un altro sesto dell'umanità siamo noi, l'esercito crescente dei salariati svalorizzati, perché precarizzati, robotizzati, impoveriti. Rimane un sesto che pensa di cavarsela costruendosi attorno muri e traendo le proprie ricchezze dalle bische delle Borse. Anche loro dovremmo riuscire a convincere che ci sono modi meno pericolosi per vivere.