LETTERE E COMMENTI

La guerra civile di Berlusconi

ROVELLI MARCO,

Forse non andrà in porto l'ultimo progetto berlusconiano, ché le problematiche giuridiche rischiano di affossarlo in corso d'opera, ma di certo è un segno preciso della ridotta in cui il Cav. si trova, e dell'azzardo che è costretto a tentare per uscirne e spiazzare il "nemico". Chiamare il post-Pdl "Italia" è nient'altro che una vera e propria dichiarazione di guerra civile. Non sembri eccessiva e iperbolica questa affermazione. E' lo stato dei fatti di un partito-azienda che ha provato a farsi Stato che adesso si trova alle strette, esposto al rischio mortale di perdere quel dominio, e che dunque gioca l'ultima carta, l'estrema risorsa dei bari di professione. "Italia", dunque: la parte per il tutto, il tutto per la parte. Un'identificazione assoluta, un corpo mistico senza resti, una sineddoche che non ammette repliche. Chi si oppone all' "Italia" si oppone all'Italia. E' una mossa retorica astuta, che costringe gli avversari ad accettare le regole del gioco, il frame stabilito da lui. I suoi avversari si muoveranno in un classico doppio legame bello e buono, per una semplice questione di virgolette(il metalinguaggio che si confonde con il linguaggio oggetto, si direbbe in linguistica): e il doppio legame paralizza l'interlocutore.
Non è da ora che Berlusconi accusa i suoi avversari di essere anti-italiani (e, ricordiamolo, con l'approvazione saltuaria di un D'Alema, che dichiarò: «C'è un anti-berlusconismo che sconfina in una sorta di sentimento anti-italiano»). È solo retorica, ovviamente, visto che in questo Paese non c'è stata alcuna costruzione reale di un'identità nazionale, non si è articolata una memoria che, sola, possa fondarla: anzi, l'antifascismo, che è stato minimo comun denominatore del patto costituzionale, è stato picconato per vent'anni. Sullo sfondo di questo collasso identitario, "Italia" risulta essere il punto terminale di un processo di svuotamento comunitario, e di riduzione a mero "logo" del nome della nazione, che l'azienda berlusconiana usa, letteralmente, come carta di credito.
Ma occorre andare più indietro nel tempo. Questa mossa retorica astuta è nient'altro che il compimento di una tradizione ben precisa (e in questo senso, come è stato detto, "autobiografia della nazione"): l'esclusione dalla "cittadinanza" di chi si oppone al Capo, il "bando" dalla comunità imposto a chi non si adegua alla voce che si autodichiara come portatrice degli interessi nazionali. Ciò che storicamente ha fatto il fascismo, di cui, con questa mossa estrema, Berlusconi si mostra il più autentico erede. Chi si oppone è un "bandito", come appunto erano i resistenti partigiani. I quali, pure, rivendicavano a sé il nome di "patrioti". Questo è il paradigma della guerra civile, come ha esemplarmente mostrato Claudio Pavone. È guerra civile quando si avoca a sé la piena rappresentatività della comunità nazionale e si disconosce la legittima cittadinanza dell'altro in quanto anti-nazionale. Berlusconi dichiara la guerra civile come estrema difesa del suo potere minacciato mai come adesso. Rilancia con tutte le fiches che ha in mano per uscire dall'angolo. È del resto questo il progetto enunciato dal pasdaran Sallusti nella terrificante intervista concessa a Luca Telese qualche tempo fa, quando diceva, dopo aver ricordato che nella sua famiglia nel 1945 «aveva già dato»: «Loro non vogliono solo il 25 aprile. Vogliono Piazzale Loreto, la pelle di Berlusconi. Ma se vogliono questo, noi non possiamo che fare la guerra, con le armi in pugno».
Se allora questa è una dichiarazione di guerra civile, si tratta di esserne all'altezza. E saper proporre, come fecero i resistenti, un orizzonte che sia tutt'altro da questo: un'altra narrazione, ma anche altre "cose". Difendere Marchionne, e la sua visione totalitaria dell'azienda Italia, per dirne una, è decisamente perdente.

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