Ha ventiquattro anni e si veste come un cinquantenne, suo padre. Diego Armando Maradona jr somiglia molto al Pibe de Oro e dove la natura non arriva il ragazzo ci mette del suo. Stesso sorriso, identici ricci scuri, il ritratto di Che Guevara tatuato sul braccio, orecchino al lobo sinistro (una D di brillanti), anelli d'argento. Gioca a calcio, ma i paragoni finiscono qui. Niente male per un figlio che il padre non ha mai voluto riconoscere, l'edipo va in gol su assist di un mito. «Io non sono come Paolo Maldini. Non sono il figlio di un bravo giocatore. Sono il figlio del più forte del mondo».
Al bar dello stadio Salvatore Calise di Forio d'Ischia sono le dieci di mattina e Diego ordina una Coca Cola. Oggi non gioca. È sceso in campo solo tre volte dal giorno del suo esordio in questa squadra di prima divisione che lotta per non retrocedere. Alla prima partita ha segnato due gol su punizione. Ed era il derby con il Lacco Ameno. Un trionfo, poi è scivolato fuori squadra per colpa di uno stiramento. Fa sempre così. Quando tre anni fa debuttò nel Venafro calcio stordì i tifosi molisani con una rete da quaranta metri, come suo padre contro il Verona. Quando è arrivato a Forio l'allenatore si è dimesso. «Ci serviva un portiere», ha detto. Giovanni Iovine, il vecchio mister, è il proprietario del Melograno, uno dei migliori ristoranti dell'isola, del figlio del mito non parla male ma pensa che sia un po' sovrappeso. Un acquisto incauto si dice adesso in tribuna, più utile a farsi pubblicità che alla squadra, «come fece Preziosi al Genoa». In Liguria qualcosa andò storto: «C'era un procuratore che non mi piaceva - racconta Maradona jr - oggi sono pentito di essere andato via». Poi c'è stato il Cervia, più che una squadra un reality show diretto da Ciccio Graziani, in onda su Italia 1, fu un'altra esperienza negativa. «Non voglio sputare nel piatto dove ho mangiato, ma non mi andava giù che il padrone fosse Berlusconi. Io sono di sinistra come tutta la mia famiglia, mio nonno sta con Bersani, io con Rifondazione». Suo padre con Fidel.
L'ha inseguito, suo padre, da quando ha cominciato a camminare. L'ha cercato su un campo di calcio, l'ha trovato su un campo di golf. A Fiuggi. Aveva 17 anni e in quel campo c'era entrato di nascosto, Diego senior era nel suo periodo più tossico e imbolsito, Diego jr lo chiamò papà per quaranta minuti ma finì lì. Il campione tornò in Argentina e alla Noche del diez, il suo programma tv, una sera presentò il nipotino Thiago: «Avrei tanto voluto un figlio maschio ma non l'ho mai avuto». A Napoli si mossero gli avvocati. Un figlio maschio Diego ce l'ha per triplice sentenza dei tribunali. «Ma un giudice - rispose el Pibe - non può condannarmi ad amare». Diego junior ama il Napoli e l'Argentina, «è casa mia», ma il padre ha smesso di inseguirlo. La voce non gli trema più: «Cinque anni fa non ci dormivo la notte. Adesso basta, ora sono meno ossessionato. Prima o poi mi cercherà lui, lo so che non finirà così. Prima o poi il cerchio si chiuderà».
Per un sanguineo travaso degli affetti «La città mi vuole bene» e lui ricambia, «Non riesco ad allontanarmi da qui». Lo ha fatto una volta sola per andare in Argentina, scortato dallo zio Hugo, fratello del padre, cercava le sue radici, «ho incontrato la mia famiglia, sono stato circondato da molto affetto, ma della storia con mia nonna e le mie sorelle, vi prego, non voglio parlare». Con lo zio Hugo, arrivato in Italia sulla scia del fratello e piazzato all'Ascoli all'epoca in serie A, mantiene un rapporto e qualche affinità: «Hugo è una seconda punta come me, non ha avuto una grande carriera, condannato a stare nell'ombra del campione». Adesso vive a Miami.
Del Napoli il Diego piccolo è un tifoso speciale: «Vado allo stadio, ma il biglietto lo pago, non voglio chiedere favori a nessuno, il mio cuore è da ultrà, ma mi tocca andare ai distinti perché in curva mi riconoscono, sai che casino». Certo il suo sogno è tornare a indossare la maglia azzurra, fu anche tesserato nelle giovanili dal '97 e fino al fallimento della società nel 2004. «Troppa pressione», aveva 11 anni. Ora gli tocca guardare a bordo campo le partite del Forio, almeno fin quando non si rimetterà in sesto. La squadra stenta, poi agguanta una vittoria al novantesimo contro la Virtus San Sossio. I tifosi arrotolano lo striscione «Sang e' Turk» perché sotto la Torre in questo pezzetto dell'isola verde scorre sangue saraceno. Il Forio ha problemi a centrocampo. Il 10 che ha sostituito Diego corre molto ma inciampa sul pallone. «Tecnicamente Maradona non si discute, ha un piede delizioso» giura Alessandro Mollo, telecronista di Teleischia. Ma si allena poco e in campo ci va Jambo Honda, punta camerunese con qualche problema con il permesso di soggiorno.
Alla sua età Paolo Maldini giocava in nazionale. E suo padre riempiva il San Paolo solo per salutare i tifosi. Ma questo piccolo Diego ora è cresciuto abbastanza, non è più arrabbiato col mondo. E può sempre fare una cosa che al padre è proibita: prende il traghetto a torna a Napoli.