CULTURA & VISIONI

PRIGIONIERI della Rete

TERRANOVA TIZIANA,

È facile immaginare come Tu non sei un gadget, recentissimo libro di Jaron Lanier, prontamente tradotto in Italia dalla Mondadori (pp. 265, euro 17.50), finirà per rinforzare il sentimento anti-social network e anti web 2.0 che già serpeggia nei media italiani. Sono molti, infatti, a temere le conseguenze della popolarizzazione di quell'insieme di nuove piattaforme e tecnologie, da YouTube a Wikipedia, da MySpace a Facebook, a Twitter - che negli ultimi cinque anni ha ridefinito dinamicamente il rapporto tra utente e Web e che rappresentano la prima espressione compiuta della massificazione del web, facendo diventare «mass-medium» una tecnologia che si era sempre presentata come l'anti mass-media.
Due sono le obiezioni mosse da Lanier alla cultura del web sociale: è incapace di produrre vera innovazione, limitandosi ad una operazione di monotono riciclo e ricombinazione di vecchi contenuti che Lanier definisce, polemicamente, «poltiglia». Inoltre, mentre siti come Facebook attuerebbero una specie di formattazione dell'identità riducendo l'amicizia ad una accumulazione di contatti personali, altri protocolli, quale per esempio i commenti anonimi aggiunti in margine ai blog e piattaforme come YouTube, incoraggerebbero comportamenti da «marmaglia».
L'attacco di Lanier al web sociale ha il sapore di una polemica personale. «Tecnologo» della prim'ora, icona rasta della cibercultura degli anni Novanta, con il suo lavoro di ricerca e sviluppo sulla realtà virtuale Lanier si rivolge direttamente agli amici e colleghi di quel milieu di innovazione che è la Silicon Valley e i centri di ricerca e sviluppo sulle nuove tecnologie sparsi per gli Stati Uniti. Per Lanier, il web sociale rappresenta una regressione conservatrice rispetto a quelle idee che vedevano il computer e la rete come mezzo destinato ad amplificare la creatività individuale.
La ricezione americana del saggio di Lanier ha già confutato questo attacco al web 2.0, sostenendo efficacemente la tesi contraria, cioè che esso ha in effetti aumentato la partecipazione alla produzione dei contenuti e che le innovazioni musicali, visuali e linguistiche sostenute da queste piattaforme sono reali e rappresentano, al contrario, una positiva diffusione e socializzazione massiccia della produzione culturale. La demolizione della cultura del web sociale costituisce, tuttavia, solo un aspetto derivato e secondario rispetto a quello che è il vero obiettivo della polemica di Lanier: il cosiddetto «nuovo collettivismo» della Rete e dell'economia digitale, e che si esplica fondamentalmente attraverso la cultura del free and open source, del copyleft, della cooperazione sociale come nuova realtà economica sostenuta persino dall'iper-capitalista rivista Wired col nome di «nuovo socialismo digitale». La tesi centrale di Tu non sei un gadget deriva, infatti, da un saggio commissionato dal sito Edge, pubblicato nel 2006, e intitolato «Maoismo digitale» (e che poi diventerà sostanzialmente nel libro «totalitarismo cibernetico» senza perdere però l'associazione originaria con il socialismo e il comunismo sommariamente equiparati al fascismo e perfino al fondamentalismo del libero mercato). Il «fallimento spirituale, comportamentale ed economico» del web 2.0, esemplificato per Lanier da Wikipedia, sarebbe il risultato di una ideologia neo-collettivista, esemplificata attraverso i concetti di «mente alveare» o di «saggezza della folla».
Lanier è consapevole dell'impatto dell'ideologia di Silicon Valley sulla riorganizzazione dei processi produttivi nell'economia della conoscenza. A partire dal crash della bolla delle dot.com nel 2001, il business model dell'economia digitale si è infatti basato sullo sfruttamento delle azioni, più o meno consapevoli, degli utenti. I veri clienti di Facebook, ci ricorda Lanier, sono i pubblicitari e altri attori politici ed economici che hanno interesse ad acquistare la miniera di dati generati dagli utenti. Il nuovo modello di valorizzazione economica è esemplificato dal passaggio da Yahoo! a Google nell'ambito dei motori di ricerca. Mentre Yahoo! catalogava il web affidandosi al lavoro di esperti pagati per produrre liste di categorie e siti web, Google usa un algoritmo, Page Rank, per valorizzare l'attività di linking performata dalla massa di utenti. Nella strategia aziendale del crowdsourcing (o esternalizzazione alla folla) si assiste inoltre all'obsolescenza dell'esperto ad opera dell'azione incrementale di una massa anonima di piccoli contributi (come nel progetto clickworkers della Nasa, che sostituisce il lavoro di esperti geologi con quello di una folla di volontari, i cui sforzi finiscono per produrre, una volta sottoposti all'azione di un algoritmo, una catalogazione dei crateri su Marte più o meno equivalente a quella del lavoro qualificato e salariato).
Lanier sostiene invece la superiorità del lavoro salariato ed organizzato dall'impresa sulla cultura free and open source. Lanier arriva persino a sostenere che l'ideologia della «mente alveare» ha causato la svalutazione del lavoro cognitivo e la perdita di potere d'acquisto e prosperità della classe media americana (il cui declino viene datato significativamente a quindici anni fa, cioè all'inizio della popolarizzazione di Internet) e perfino la crisi finanziaria. Tutto ciò ha prodotto, secondo Lanier, una società neo-feudale, dove pochi rentier del web (quali Google) vivono di rendita sfruttando il lavoro non retribuito e volontario di una massa di sprovveduti utenti.
Come hanno sottolineato i vari autori chiamati a rispondere nel 2006 alle tesi di Lanier sul «nuovo collettivismo» (il gotha dei commentatori tecnologici della cibercultura americana, da Kevin Kelly a Clay Shirky, da Douglas Rushkoff a Yochai Benkler, da Esther e George Dyson a Larry Sanger), il tecnologo americano offre una rappresentazione caricaturale della produzione sociale dal basso. Le dinamiche di autorganizzazione facilitate dal web sociale sono infatti caratterizzate da una ecologia di interdipendenze, dove si attualizzano micro-gerarchie mobili basate sulla reputazione e sulla status acquisito nella comunità di partecipanti. La cooperazione sociale di rete, cioè, non è un moto browniano dove particelle anonime si incontrano in un processo di produzione automatica, ma una dinamica sociale dove quello che conta non è solo il contenuto, ma il contatto e la connessione tra le soggettività - quello che Bernard Stiegler, riprendendo Gilbert Simondon, ha definito le potenzialità di trans-individuazione attivate dalle reti sociali. Ci sono inoltre delle differenze fondamentali tra vari modelli, che vanno esplorate ed affinate: la cooperazione sociale che produce i contenuti di un sito come Wikipedia o del software open source è molto diversa dall'azione aggregatrice di un algoritmo come PageRank, in quanto essa non dissolve ma problematizza la libertà e la creatività individuale attraverso meccanismi di confronto sociale tra diverse prospettive.
Il colpo più pesante alle tesi di Lanier è però assestato dall'autore de La ricchezza delle reti, Yochai Benkler. Secondo Benkler la rappresentazione di Lanier del web sociale come un meccanismo anonimo che neutralizza le differenze individuali a favore di un collettivismo impersonale non è certamente da attribuirsi al presidente Mao, ma al teorico del libero mercato come meccanismo ideale autoregolante, cioè Milton Friedman. Il libro di Lanier focalizza senza illuminare la centralità del web 2.0 rispetto alla crisi e alla riorganizzazione del capitalismo contemporaneo senza dare però conto del potenziale di liberazione permesso dalla produzione sociale e dai social network rispetto a quell'economia neoliberale di cui pure essi rimangono espressione.

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