CULTURA & VISIONI

Fatti storici e simbolici sulla terra palestinese

SAGGI - Claudio Vercelli analizza il conflitto mediorientale
SASSO DONATELLA,

LIBRI: CLAUDIO VERCELLI, STORIA DEL CONFLITTO ISRAELO-PALESTINESE, LATERZA, 2010, PP. 221, EURO 20,00

Il destino di certi conflitti, come di alcune relazioni fra soggetti singoli e collettivi, è quello di cristallizzarsi su determinate interpretazioni a scapito di una comprensione più ampia e storicamente più dettagliata. Il caso del conflitto israelo-palestinese è in questo senso emblematico. Il confluirvi di simboli religiosi, politici, ideologici nonché ideali lo rende disponibile a un molteplice novero di sostenitori dell'una come dell'altra parte, che tendono a trasformare i protagonisti in pedine di un gioco più ampio e sempre più pericoloso, che risponde a interessi spesso a loro estranei se non addirittura dannosi.
Contro la staticità apparente di una situazione che tende a delinearsi come costante storica più che come crisi in evoluzione Claudio Vercelli, nel suo ultimo saggio Storia del conflitto israelo-palestinese, propone una lettura in grado di offrirci anche alcuni strumenti critici. Elemento cruciale è la datazione dell'inizio del duplice conflitto: quello armato e politico e quello diplomatico e ideologico. La convivenza di due comunità sul medesimo territorio risale agli ultimi decenni dell'Impero ottomano, che si estendeva alla Palestina dal 1517. La popolazione araba, di religione musulmana, viveva in una sorta di immobilità improntata alla divisione clanica della società, in cui alla massa di lavoratori della terra perlopiù analfabeti si contrapponevano ricchi notabili, che intrattenevano rapporti discontinui con Costantinopoli. Fu in questo contesto che ebbe inizio la aliyà, migrazione, verso la Palestina. Tra il 1881 e il 1903 circa trentamila ebrei giunsero da un Impero russo sempre più inospitale, inaugurando una serie di ondate migratorie che avrebbe condotto nei territori intere comunità di ebrei fortemente motivati a creare per sé e per i propri figli un futuro alternativo al destino europeo, contrassegnato da secolari ostilità e da un moderno antisemitismo che si andava subdolamente sostituendo all'antigiudaismo. Erano perlopiù persone appartenenti al ceto medio, che avevano colto nella versione «nazionale» dell'appartenenza ebraica, secondo il progetto sionista, una via percorribile di lotta politica e sociale.
Già nei primi decenni di convivenza fra gli autoctoni e i nuovi arrivati si registrò una radicale discrasia che ancora sussiste, sebbene in forme profondamente mutate: se per gli arabi era forte il senso di appartenenza al clan, ma era assente un'idea di nazione come pure di appartenenza sovranazionale, per gli ebrei era ben radicata l'idea di un insediamento duraturo, costruito con le forze di ciascuno in un'ottica collettiva, alimentata anche dalla diffusa adesione agli ideali del socialismo.
Con lo sfaldamento dell'Impero ottomano alla fine della Prima guerra mondiale e con l'avvio dell'Amministrazione mandataria inglese nel 1920 la conflittualità prese caratteri più definiti e sfociò nel 1929 nel massacro di una comunità ebraica, non sionista, a Hebron. L'emigrazione ebraica intanto proseguiva, nonostante le limitazioni degli inglesi. Gli arabi cominciarono a organizzarsi politicamente individuando i propri nemici sia nei «colonizzatori» europei, sia negli ebrei. In questo clima di crescente scontento, soprattutto fra le masse dei contadini, nel 1936 esplose una ribellione armata contro gli inglesi e, in misura maggiore, contro gli ebrei. La rivolta venne momentaneamente sedata, ma gli osservatori internazionali avanzarono per la prima volta l'ipotesi di una divisione territoriale fra le due comunità.
La Seconda guerra mondiale e lo sterminio degli ebrei rappresentarono un congelamento temporaneo della questione medio-orientale. La nascita dello Stato di Israele nel 1948, che alcuni hanno impropriamente letto come risarcimento agli ebrei per la tragedia della Shoah, fu, nei fatti, il frutto di complesse mediazioni internazionali. Terminato il mandato britannico, la questione passò alle Nazioni Unite i cui lavori furono seguiti con interesse dagli ebrei e osteggiati dal mondo arabo, privo di un reale progetto politico, ma unito nel rifiutare in toto Israele. La risoluzione 181 del 1947, che definisce la nascita di due Stati, con una spartizione non gradita agli ebrei più nazionalisti, ma accettata come una vittoria dai più, venne rigettata dalla Lega araba che dichiarò immediatamente la guerra. Gli scontri, condotti con risolutezza da entrambe le parti, provocarono come effetto più grave l'esodo, per gran parte forzato, di un numero molto elevato di arabi. È questo l'evento simbolico che avrebbe contribuito alla costruzione del nazionalismo palestinese a partire dagli anni '50: ricordata come la Nakba (catastrofe o tragedia), coinvolse circa settecentoundicimila palestinesi. I primi ad andarsene furono i più abbienti che lasciarono al loro destino i più poveri e i più deboli. I profughi trovarono a fatica un'adeguata accoglienza nei territori invasi a sud dagli egiziani (Gaza), a ovest dai Giordani (Cisgiordania) o nei vicini stati arabi. Intanto, come ritorsione per la nascita di uno stato non gradito, furono oggetto di manifestazioni antisemite centinaia di migliaia di ebrei che abbandonarono i paesi arabi in cui vivevano da generazioni e si riversarono in Israele.
Leggibile in parte come un gioco di specchi, il conflitto tra ebrei e palestinesi è per i secondi l'evento che determina l'esilio, diventando mito fondatore del loro nazionalismo, mentre per i primi la nascita di Israele è festa e rinascita, costruzione di una casa finalmente solida al suo interno, sebbene fragile all'esterno. La dirompente vittoria della Guerra dei sei giorni nel 1967 fu la conferma di una potenza militare poi duramente ridimensionata nel 1973 con la guerra dello Yom Kippur. Nei decenni successivi i palestinesi si organizzarono politicamente e militarmente, dando vita a un processo di costruzione nazionale segnato dalla superiorità numerica, ma inficiato dalla inferiorità delle risorse, da tragedie immani come la strage di Sabra e Chatila nel 1982, da una condizione di profughi estesa alla intera durata della vita o dal vissuto di se stessi come cittadini di seconda classe in Israele. I movimenti di liberazione si ispirarono alla guerriglia anticoloniale di matrice comunista e per la prima volta rivendicarono l'indipendenza nazionale accusando Israele di imperialismo filo-americano. Una possibile normalizzazione, prima ancora di una soluzione, dovrebbe forse basarsi sulla rinuncia a leggere ideologicamente il passato, che è in gran parte un passato comune, consumato su un medesimo territorio carico di memorie e di simboli per entrambi.

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