LETTERE E COMMENTI

Comunisti, non populisti e leaderisti

GIANNINI FOSCO,

C'è una domanda che, dalle pagine del manifesto, ci sentiamo autorizzati a formulare: come si può porre, oggi, la questione dell'esigenza sociale e storica del partito comunista? Partiamo da tre questioni essenziali: primo, attraverso la definizione della fase; secondo, attraverso una semplice domanda: esiste, in Italia, un partito comunista all'altezza dell'odierno scontro di classe? Terzo: è ancora attuale la forma partito? E più specificamente: è ancora utile alle masse, al proletariato, organizzarsi nel partito comunista?
La fase: sul piano internazionale, è ancora e pesantemente segnata da una crisi capitalistica di sovrapproduzione e da un'acutizzazione delle contraddizioni inter-imperialistiche che spingono l'attuale capitalismo ad accentuare la propria offensiva iperliberista, antioperaia e contraria allo stato sociale, un ciclo capitalista che spinge i padroni a rifiutare ogni via neokeynesiana, ogni compromesso tra capitale e lavoro. Questa tendenza generale capitalistica si fonde, nell'area dell'Ue, con la feroce pulsione del capitalismo sovranazionale europeo a costituirsi come nuovo polo unitario volto a battere la concorrenza degli altri poli capitalisti mondiali nella conquista dei mercati internazionali. In Italia alla duplice spinta liberista del capitale si aggiunge una negativa peculiarità: quella di un "nanocapitalismo" impossibilitato a reggere la concorrenza internazionale e volto a risolvere i propri problemi non attraverso gli investimenti e l'innovazione tecnologica ma attraverso nuovi cicli di supersfruttamento operaio e precarizzazione del lavoro. Ed è a partire da quest'ultimo assunto che la borghesia italiana si pone il problema della propria rappresentanza politica: negli ultimi vent'anni è stato eletto Berlusconi quale rappresentante degli interessi borghesi e mediatore tra gli interessi degli ultimi, grandi, gruppi capitalistici e la marea nanocapitalista. Oggi che Berlusconi pare essere al capolinea, chi sceglierà la borghesia quale suo alfiere? Vediamo come aree della borghesia stiano palesemente cercando di cambiare cavallo, lavorando per un'alternativa al Pdl imperniata su di un centrosinistra guidato da un "uomo nuovo": Nichi Vendola.
È in questo contesto - segnato da un duro dominio capitalista volto a cambiare spalla al proprio fucile e da una "sinistra" italiana disponibile a farsi nuovo fucile della borghesia - che un partito comunista (di quadri, di massa e di lotta) diviene una necessità sociale e politica e non una mera speculazione ideologica. Ed è questo assunto che ci spinge a porci il secondo quesito: esiste oggi, in Italia, un tale partito? Con ogni evidenza la risposta è no. Allo sciagurato scioglimento del Pci tentammo di rispondere con il progetto di una "rifondazione comunista". Tale progetto è fallito: la massa critica originaria di Rifondazione si è divisa in cento rivoli inessenziali; le «innovazioni politiche e teoriche» di Bertinotti hanno svuotato di senso il Prc; i due partiti comunisti residui non hanno né il necessario radicamento sociale né la possibilità di trasformare - perché assenti - il parlamento borghese in cassa di risonanza della lotta di classe. Siamo di fronte a una contraddizione: la fase richiede il Partito comunista ed esso non c'è. Primo compito dei comunisti, dunque, è di ricostruire il loro partito, unendo la diaspora (a partire dall'unità tra Prc e Pdci) e delineando un profilo politico, teorico, rivoluzionario all'altezza dei tempi e dello scontro di classe.
Terza questione: è ancora attuale la forma partito? È ancora necessario, per il movimento operaio, organizzarsi in partito politico? Evochiamo tale questione non perché abbia dignità intellettuale e storica ma solo perché essa è ormai uno dei motivi di fondo della politica reazionaria italiana, che tenta su ogni fronte di organizzare consenso a partire dal populismo e dal leaderismo. Non si rifiuta di essere un partito anche il Pdl di Berlusconi? E non è proprio Vendola a sparare a palle incatenate contro la forma partito, proponendosi come nuovo caudillo populista di uno schieramento di "sinistra" liberista e bipolarista? Consideriamo il populismo e il leaderismo il segno dell'egemonia borghese. Consideriamo l'attacco ai partiti parte dell'attacco generale alla democrazia, alla Costituzione e agli interessi dei lavoratori. E, all'opposto, pensiamo che sia ora di riconsegnare alla "classe" un partito comunista di lotta, rivoluzionario e unitario, in grado di proporsi come cardine di una più vasta e combattiva sinistra anticapitalista.
* direzione nazionale Prc

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