In Italia non si coltivano sementi Ogm, lo dicono le istituzioni e lo chiedono i cittadini. Il veto viene ribadito da un decreto interministeriale, datato 9 aprile, firmato dall'ex ministro dell'Agricoltura Luca Zaia e controfirmato dal ministro della Salute, Ferruccio Fazio, e dell'Ambiente, Stefania Prestigiacomo. Le motivazioni del no sono di natura squisitamente tecnica: non vi è infatti «garanzia della coesistenza» tra colture convenzionali e colture modificate. Per chi non rispetta il divieto è previsto l'arresto da 6 mesi a tre anni o l'ammenda fino a 100 milioni di euro più la sanzione amministrativa da 15 a 90 milioni.
Il panorama normativo di riferimento, a cui l'Italia deve attenersi, è la direttiva europea del 2001. Nel 2003 Gianni Alemanno, all'epoca ministro dell'Agricoltura, legifera sull'emissione nell'ambiente di Ogm, inserendo una serie di valutazioni per garantire gli standard di difesa della biodiversità e la tutela della qualità della produzione agricola. Le linee guida vere e proprie spettano però alle regioni, ma, dato che ancora non ci sono, il Belpaese blocca tutte le coltivazioni biotech. Ogni tanto le lungaggini burocratiche giocano a favore perché la prospettiva sarebbe di avere norme diverse da regione a regione, che stabilirebbero di fatto la possibilità di utilizzare semi modificati. Recenti statistiche mostrano come la maggioranza dei cittadini italiani - il 72%, circa tre su quattro - non guardi di buon occhio gli alimenti Ogm. Pochi sanno però che l'Italia non è un paese Ogm-free. Sempre in base alle norme europee non è obbligatorio notificare sulle etichette la presenza di prodotti biotech se non superano lo 0,9%. Il consumatore quindi non saprà mai quando acquista prodotti elaborati con mais e soia transgenica. E poi ci sono i mangimi destinati all'allevamento. «Non esistono statistiche sulla diffusione dei mangimi Ogm perché nessuna norma obbliga a informare il consumatore del ciclo produttivo della carne - dichiara Stefano Masini, responsabile ambiente della Coldiretti - bisogna tener conto inoltre che i mangimi Ogm-free costano il 30% in più di quelli modificati e sono quindi meno diffusi».
In Europa le cose stanno diversamente: se dal 1997 al 2004 c'era stata una moratoria di fatto che bloccava l'ingresso degli Ogm, oggi si assiste a una revisione della normativa comunitaria volta a lasciare più spazio all'iniziativa dei singoli stati. Spetta alla Commissione europea approvare le sementi transgeniche valutando i dossier forniti dalle stesse aziende produttrici. Via libera quindi al mais Mon810 della multinazionale Monsanto. Nel vecchio continente ci sono 90.000 ettari di coltivazioni biotech - su un totale mondiale di 134milioni - la maggior parte concentrate in Spagna, seguita da Slovacchia, Repubblica Ceca e Polonia.