POLITICA & SOCIETÀ

Cosa dice davvero Obama all'Italia

ANALISI
TOALDO MATTIA, DILETTI MATTIA,

Concludendo gli stati generali delle Fabbriche, Nichi Vendola ha affermato che uno degli obiettivi del suo progetto è quello di chiudere «la guerra dei trent'anni», cioè la versione italiana dell'egemonia conservatrice. L'America non a caso può essere un buon esempio, a patto di tenere a mente le enormi differenze - storiche e politiche - che ovviamente esistono tra Chicago e Bari. Non si tratta di alimentare la rincorsa alla ricerca dell'Obama italiano (ci sono bastate le elezioni del 2008); bisogna piuttosto guardare agli Usa per osservare la realtà, complicata, di un progetto di governo che tenta di allontanarsi dal trentennio inglorioso, nel quale hanno vissuto sia gli europei che gli americani.
L'era conservatrice americana non iniziò il 4 novembre 1980, quando Reagan sconfisse Jimmy Carter alle presidenziali, bensì con il referendum che si era tenuto il 6 giugno di 2 anni prima in California sulla «proposta numero 13» (proposition 13). La consultazione prevedeva di stabilire un tetto massimo alla tassa sulla proprietà degli immobili e faceva parte di una più larga «rivolta anti-tasse» che era stata il carburante della riscossa conservatrice dopo la debacle del Watergate. I sì furono quasi i due terzi dell'elettorato: un vasto fronte popolare che mise fine alle politiche del New Deal. E' anche su quella base - una proposta di politica concreta ma dall'alto valore simbolico - che iniziò il trentennio conservatore americano. In Italia l'anno prossimo potrebbe svolgersi un referendum sull'acqua, che certo non ha minore valenza allo stesso tempo concreta e simbolica: un progetto di mobilitazione sul quale il centrosinistra può spendersi per cambiare il segno del dibattito politico italiano.
Ma torniamo alla campagna di Obama. Il candidato democratico non ha vinto inseguendo un ipotetico «centro moderato», ha invece individuato chiaramente una propria «coalizione sociale» e ha cercato di conquistarla su temi come la riforma sanitaria, che avevano il potenziale di cambiare la vita delle persone. E' grazie a maggioranze schiaccianti nel voto delle donne, dei giovani, delle minoranze, dei lavoratori esecutivi dell'industria e dei servizi che l'America ha avuto il suo primo presidente nero.
In Italia, sia con Craxi che con i post-comunisti, si sono invece inseguiti a lungo i cosiddetti «ceti emergenti» (professionisti, partive Iva, etc.). Le analisi recenti dei dati elettorali fatte dal consorzio Itanes suggeriscono però di ribaltare l'approccio: gli elettori veramente «mobili» (e quindi decisivi) sono quelli che appartengono soprattutto al mondo del lavoro esecutivo (dell'industria e dei servizi) o a quello dei precari e delle loro famiglie. Sommati insieme sono il 50 per cento del corpo elettorale. Anche le celebri partite Iva, oggi, soffrono come altri ceti sociali. Sono questi ceti «sommergenti» una delle chiavi possibili di una nuova coalizione progressista italiana: chi saprà proporgli riforme che gli cambiano la vita, forse, potrà portarli dalla sua parte.
La campagna di Obama ha scommesso inoltre su una vasta rete di mobilitazione e partecipazione che avrebbe portato a votare nuovi elettori. Ha puntato sull'orizzontalità e sull'uso della rete per costruire la presenza sul territorio ma anche su una struttura centrale in grado di fornire strumenti, know-how, servizi, programmi politici e parole d'ordine. Insomma, rete e partecipazione ma con un forte «cervello politico». Questa rete ha perso un po' di smalto nel passaggio a Organizing For America, la struttura pro-Obama nata dopo le elezioni: è il rischio che si corre in una politica così «personalizzata». Le difficoltà dell'azione di governo, necessariamente, rischiano di deludere «i fan», soprattutto quelli più giovani e poco politicizzati.
Il successo di Obama però si spiega anche con una nuova epoca dal punto di vista delle aspettative politiche concrete. Reagan era andato al potere dicendo che lo stato era l'inizio dei problemi, non la loro soluzione. E ancora a metà anni '90 il 60% degli americani era d'accordo con l'affermazione che «lo stato proverà a fare troppo, a farlo male e quindi ad alzare le tasse». Nell'estate del 2008, poco prima della vittoria di Obama, la stessa percentuale era invece d'accordo esattamente con l'affermazione opposta.
«Never waste a crisis» (mai sprecare una crisi) dicono in America. In tempi di crisi, spesso, la gente si rivolge alla dimensione collettiva per avere aiuto. E' così anche in Italia, nonostante si continui a coltivare l'idea togliattiana del paese «naturalmente di destra» (in realtà, meno del 30% dell'elettorato attivo vota davvero per il centrodestra). Secondo le indagini di Ilvo Diamanti, percentuali quasi bulgare di nostri concittadini sono «molto d'accordo» con queste idee: distribuire meglio la ricchezza, far pagare le tasse a tutti, libertà d'informazione, rispetto della natura e dell'ambiente. Ovviamente, trasformarli in politiche concrete per la sinistra è molto difficile, ma questi dati indicano che forse vale la pena tentare.
*autori (con M. Mazzonis) di «Come Cambia l'America» e animatori del blog «Italia2013»

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