CULTURA & VISIONI

Il falsetto extraterrestre di Jònsi si invola fra peccato e redenzione

CONCERTI Il leader dei Sigùr Ros ha portato le canzoni del suo disco solista sul palcoscenico della Cavea dell'Auditorium a Roma
CORZANI VALERIO,ROMA

Tempi duri per gli algidi. Uno sente il concerto delle Cocorosie e prende atto della svolta groovy delle loro canzoni. Poi ascolta il singolo del primo album solista di Jònsi, già front man dei Sigùr Ros, e si chiede dove siano finite le soavi e felpate cellule canzonettistiche che facevano da imprinting al suono del gruppo. Che l'onda neoacustica sia definitivamente tramontata? Che il mood più meditabondo e riflessivo abbia fatto il suo tempo e sia scattata l'ora (e la stagione) del divertimento evoluto, delle melodie solari, del ribollìo ritmico? È bastata la prima canzone del concerto che Jònsi ha tenuto l'altro ieri nella cavea dell'auditorium, per porre fine a questi sterili dilemmi. Un brano per chitarra, voce e qualche piccolo colpo di vibrafono. Jonsi è sempre Jonsi. In un live che ha regalato una prima parte interamente soffice ed eterea, la voce del musicista islandese si è ripresa tutto il corredo di atmosfere, ambienti, scenari acustici che lo hanno reso famoso e riconoscibile in tutto il mondo.
Il falsetto extraterrestre ha invitato come sempre a ispezionare dentro le proprie fantasie più ataviche ed epiche, subito prima di aprire gli occhi e veder scorrere davanti a sè il profilo di ghiacciai sterminati, il zig zag di torrenti inquieti, la punta mozza di un vulcano. La frenesia pantagruelica di Go Do è comunque arrivata anche nel concerto romano per la gioia dei fan dell'ultim'ora e per ingrossare il volume timbrico cucinato da harmonium, organi, vibrafoni, marimbe, metalli e timpani. Anche il funambolico crescendo di Tornado, con la sua rincorsa finale, il suo comparto di spruzzate noise e il sabba iterativo che lo caratterizza melodicamente ha avuto lo spazio che meritava nel concerto romano. A esaltare questi scossoni scenici una scenografia studiata ad hoc dalla rinomata 59 Production, una casa di produzione di eventi teatrali/film/TV davvero creativa e fertile, che per lo show di Jónsi ha realizzato una serie di video che sovrastavano l'enorme palco della cavea.
Jónsi e i compagni di band (tra questi il batterista Samuli Kosminen, già con i Mùm) sono stati così circondati di volta in volta da animali selvaggi, edifici in fiamme, stormi di uccelli in un percorso digitale dalla giovinezza alla redenzione che non voleva essere come un spettacolo teatrale, ma in qualche modo lo diventava. Lo stesso Jònsi, al rientro per i tre bis con cui ha chiuso il concerto, si è presentato sul palco con un copricapo da Geronimo polare che aggiungeva ulteriore appeal alla fotografia del proscenio. Ma alla fine, ancora una volta, è un piccolo forziere di malinconie e immagini terse che ci si porta dietro come ricompensa all'uscita del concerto.
Una litania di nuove canzoni che reggono il passo di quelle del vasto repertorio dei Sigùr Ros e una voce inconfondibile, in entrambi i registri: il falsetto è il trampolino con la sua precisa e inconfondibile grana acuta, la voce naturale che arrotonda i melismi islandesi e le parole in inglese con una timida spruzzata di acidità. Jonsi è sempre Jonsi. Gli algidi possono ancora sperare.

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