CAPITALE & LAVORO

Domani il governo incontra le regioni ma i tagli restano

MANOVRA
DEL MONACO ANDREA,

Berlusconi e Tremonti incontreranno le regioni domani alle 11: il Governo, nel pomeriggio di ieri, ha fatto una retromarcia formale rispetto all'iniziale chiusura a discutere la legge finanziaria; tuttavia rimangono intangibili i saldi di bilancio e la scelta del voto di fiducia.
La giornata politica era iniziata con un aut-aut unanime di Province, Comuni e Regioni. «Parteciperemo se avremo la garanzia della presenza del Presidente del Consiglio oppure se prima Berlusconi ci incontrerà per ascoltare le nostre buone ragioni e dirci come intende affrontare i problemi che poniamo: queste sono le nostre condizioni per andare all'incontro con il Governo». Così Vasco Errani, presidente della Conferenza delle Regioni, aveva ieri messo i suoi paletti in una conferenza stampa congiunta insieme al presidente dell'Anci ( l'associazione dei comuni) e sindaco di Torino Sergio Chiamparino, e a Giuseppe Castiglione, presidente dell'UPI (Unione delle Province). L'incontro in questione è quello della Conferenza Unificata, convocata dal ministro degli affari regionali Fitto, la quale ha il compito formale di dare il parere sulla manovra finanziaria e di discutere i pesanti tagli agli Enti Locali.
Errani ha inviato al presidente del consiglio una lettera formale dove le regioni esprimono un'intesa unanime per la riconsegna delle deleghe che la Costituzione gli attribuisce. Il nodo politico è il seguente: se il Governo taglia i trasferimenti (su viabilità e trasporto pubblico locale, trasporto ferroviario, edilizia residenziale e opere pubbliche, incentivi alle imprese e mercato del lavoro, agricoltura e ambiente) le Regioni, le Province e i Comuni non possono esercitare le funzioni corrispondenti. A quel punto, senza soldi, meglio restituire le deleghe al Governo centrale, che dovrà assumersi la responsabilità politica dei tagli. Fino ad oggi quelle deleghe valevano 4,9 miliardi di trasferimenti dello Stato: il Governo ne taglia 4 per il 2010, 4,5 per il 2011. Ergo, tutti i governatori non vogliono «rimanere col cerino in mano». La riconsegna delle deleghe non è un gesto polemico, ma una «presa d'atto della sostanza di questa manovra». In tv, Errani ha contestato a Fitto come i tagli ai ministeri siano inesistenti; mentre le Regioni «hanno tagli complessivi del 14%, le amministrazioni centrali ne hanno per l'1,2%». Inoltre i ministeri hanno, sì, un taglio delle spese di 2,2 miliardi, ma nel contempo si crea un fondo aggiuntivo da 2 miliardi presso la Presidenza del Consiglio.
Sergio Chiamparino sottolinea come abbia ricevuto un «no» anche su un parziale slittamento dei tagli nel triennio 2010-2012: i Comuni sono pronti a proporre uno spostamento al 2012 di un terzo del taglio (500 milioni) che la manovra prevede per il 2011, da scontare al momento dell'avvio della nuova tassa comunale sugli immobili. Nello stesso tempo i Comuni chiedono che il governo si impegni affinchè i tagli ai trasferimenti vengano ricompresi all'interno del patto di stabilità nella sua nuova formulazione.
Neanche questo va bene a Tremonti. Tre sono i nodi politici: 1) è a rischio il federalismo fiscale, irrealizzabile senza trasferimento delle risorse; 2) l'impatto non è uguale per tutti, perché le regioni ricche, con un volume contributivo alto, possono «fare da sole» e, per esempio, pagarsi i trasporti; 3) i governatori hanno chiesto la presenza di Berlusconi perché vogliono che s'imponga su Tremonti e rinunci ai tagli. Berlusconi invocato mediatore contro il «rigore» contabile; il presidente della Puglia Vendola ha ben sintetizzato: «se il premier non incontra in via ufficiale Regioni e autonomie locali vuol dire che è 'prigioniero politico' di qualcuno». Quel qualcuno che si chiama «il duo Tremonti-Bossi»

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