CULTURA & VISIONI

Il paladino del nu folk che adora gli '80

DEVENDRA BANHART DAL VIVO
CORZANI VALERIO,

Alla fine è arrivata anche la pioggia e il rito freak preparato da Devendra Banhart e i suoi compari a Villa Ada a Roma ha avuto il suo battesimo liquido. Mille, millecinquecento persone per seguire la seconda serata di Roma Incontra il Mondo per il concerto dell'artista americano. Il suo ultimo disco What Will Be è il primo licenziato da una major (la Warner) a dimostrazione della popolarità in ascesa del cantautore di Houston, ma il passaggio da icona indie a icona pop Banhart lo vuole gestire a modo suo e non è disposto a cambiare troppo della sua attitudine musicale. C'è un po' di pre-war folk, un po' di doo wop, un po' di musical, un po' di psichedelia, un po' di reggae, un po' di terzomondismo ereditato dalle sue radici venezuelane. Scorrono i capitoletti della sua ultima fatica discografica e già il palinsesto si colora di mille sfumature di genere, Angelika, Foolin, Brindo, fra i pezzi a questi si aggiungono altre perle del precedente repertorio come Little Yellow Spider, Carmensita Chinese Children. Alcuni brani Devendra li cucina da solo, altri in trio, in altri cede il microfono a qualcuno dei suoi titolati compari: alle chitarre due membri dei Little Joy, Rodrigo Amarante e Noah Georgeson, al basso Luckey Remington, alla batteria Greg Rogove. Devendra, nella sua bulimica rincorsa all'eclettismo, riesce a sdoganare perfino un repellente hit del 1988 come Tell it to my heart di Taylor Dayne («Lo ascoltavo sempre in macchina - ha detto dal palco - e mi faceva sognare»). Nel caso specifico operazione è riuscita a metà perché nonostante le mossettine estasiaste del leader, il pezzo della bionda cotonata starlettina eighties è il più sconclusionato e inutile del set. Del resto, anche se si è rivelato come uno dei paladini del nu-folk, Banhart è cresciuto con la musica degli anni '80 e di quel decennio evidentemente ama proprio tutto: «Il paradiso - ha dichiarato di recente - è una distesa di vaniglia con Morissey che suona sempre».

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