CULTURA & VISIONI

Breuker Kollektief, jazz anticonformista

FESTIVAL Sul palco anche Mulatu Astatke
LORRAI MARCELLO,NOVARA

Piace, al pubblico seduto o a passeggio di sabato sera in Piazza Duomo: un pubblico non necessariamente motivato e preparato, perché i concerti sono gratuiti. Piace perché la musica ha swing, ha una sua godibilità. Certo non ci sono eccessi «radicali», ma non è neppure jazz convenzionale quello dell'olandese Willem Breuker Kollektief annata 2010, in cartellone per la settima edizione di Novara Jazz. Capace di accontentare un po' tutti: la parte della platea che nell'esibizione di questo storico organico di punta della musica europea dell'area dell'improvvisazione trova semplicemente un piacevole intrattenimento, così come quella che è in grado di apprezzare quanto il Kollektief sappia rendere il sound, gli impasti, la «grana» delle compagini del jazz classico e delle orchestre degli anni fra le due guerre, ma senza mai indulgere al revivalismo, così come senza appiattirsi su un esercizio di rilettura contemporanea del passato, e in ogni caso sempre con un tocco tremendamente europeo.
Il Kollektief, che dagli anni settanta tiene alta la bandiera dell'anticonformismo, scarta sempre in tempo per non cadere nell'ovvietà, con l'agilità di chi ha interiorizzato tanto Jelly Roll Morton quanto Kurt Weill quanto Stravinski, e ha nella sua matrice originaria una vitale attenzione al popolaresco, al bandistico, al circense: tutti versanti che non rimangono giustapposti, ma si fondono in un unicum che ha una sua naturalezza, maneggiati con la disinvoltura di un Kollektief del tutto pertinente su un registro epico o in un passaggio malinconico, altrettanto a proprio agio quando riecheggia rinascimentale o accenna un paso doble o reinterpreta in maniera originale Better Git It In Your Soul di Mingus. L'aspetto di quel ludico teatro musicale che non è l'ultimo dei motivi della grandezza del Kollektief questa volta è stato invece lasciato da parte. Molti dei componenti del Kollektief sono veterani: il trombettista Andy Altenfelder, il trombonista Bernard Hunnekink, il pianista Henk de Jonge, il contrabbassista Arjen Gorter, il batterista Rob Verdurmen. Ma se non hanno attinto al loro repertorio di gag memorabili non è perché il Kollektief sia invecchiato: piuttosto, ci piace pensare, per un riguardo nei confronti del suo creatore, dolorosamente assente.
Quando appariva ormai improbabile vederlo di nuovo in scena, Breuker ha accettato generosamente l'invito di Novara Jazz, ma ha dovuto alla fine rassegnarsi a dare forfait. Nel primo sabato delle due tranche della manifestazione, un altro dei pezzi forti del cartellone di quest'anno: Mulatu Astatke, pioniere negli anni sessanta a New York della world music, poi a cavallo fra sessanta e settanta alfiere ad Addis Abeba del cosiddetto ethio-jazz, riportato quindi alla ribalta dalla collana éthiopiques, reso popolare dall'inserimento di sue musiche nella colonna sonora di Broken Flowers di Jarmush e diventato infine à la page con la collaborazione con gli Heliocentrics.
Astatke si è presentato alla testa di un settetto che è parso congeniale a rendere efficacemente l'indole musicale di Mulatu: più asciutto e nitido degli Heliocentrics, più funzionale e anche più capace di rendere certi accenti ritmici e certo groove etiopico, della pur volonterosa Either/Orchestra, la compagine statunitense con cui Mulatu ha peraltro una consuetudine pluriennale. Con la Either/Orchestra Astatke ha in buona parte realizzato il suo ultimo Mulatu Steps Ahead, album non troppo convincente: e il polso con cui ha condotto l'esibizione di Novara sembrava confermare il sospetto che la responsabilità di un risultato non troppo brillante fosse più di una produzione non accurata e di qualche debolezza della Either che sua. Alternandosi al vibrafono, alle congas e alle tastiere, con il suo compatto organico (Byron Wallen, tromba, James Arben, sax, clarinetto basso e flauto, Dan Keane, tastiere, Davide Mantovani, contrabbasso, Tom Skinner, batteria, e Richard Olatunde Baker, percussioni), Astatke è riuscito a creare una suggestiva dimensione quasi orchestrale, offrendo un eccellente esempio di «universalizzazione» della musica etiopica.

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