POLITICA & SOCIETÀ

Ripensateci, Berlusconi lo voleva E Bolzaneto insegna

COMMENTO
MARCHESI ANTONIO,

Lo faremo al più presto, il Parlamento ne sta già discutendo, ci metteremo in regola. Questo, in sostanza, è quanto sono andati ripetendo i rappresentanti di successivi governi italiani a partire dai primi anni novanta, di fronte al Comitato contro la tortura delle Nazioni Unite, quando veniva chiesto loro perché l'Italia non avesse ancora introdotto un reato autonomo di tortura nel proprio ordinamento giuridico. Qualche volta aggiungevano che ciò che veniva chiesto loro non era a rigore necessario, dal momento che la tortura era comunque «coperta» dalle nostre leggi. Ma poi si affrettavano a precisare che l'Italia avrebbe comunque introdotto una figura di reato autonoma.
Ovviamente sorvolavano sulla circostanza che le proposte di legge sull'argomento erano di iniziativa di singoli parlamentari; che passavano mesi o anni prima che queste venissero poste all'ordine del giorno di una Commissione; che la discussione, se e quando aveva inizio, sembrava prescindere dal contenuto degli obblighi internazionali a cui ci si proponeva di adempiere, tanto che in un caso ci si è accorti, troppo tardi, che la definizione del reato di tortura approvata in aula era del tutto incompatibile con la Convenzione Onu (perché qualificava come «tortura» solo i comportamenti «reiterati»). Davanti alle Nazioni Unite i nostri rappresentanti continuavano imperterriti a promettere che un reato penale specifico l'Italia l'avrebbe introdotto al più presto.
Oggi, invece, dopo tanti anni di assicurazioni (più o meno credibili), abbiamo saputo che, fra le numerose raccomandazioni formulate dal Consiglio dei diritti umani all'Italia, quella di introdurre un reato di tortura è stata espressamente rigettata. Eppure, le ragioni per introdurre un reato specifico sono valide e convincenti.
In un contesto di generale sottovalutazione della gravità della tortura, di tentativi di eluderne il divieto attraverso un restringimento del suo oggetto (la tortura è vietata, ma questi sono meri abusi o pressioni fisiche o altro ancora), è essenziale reagire, sottraendo la tortura all'ordinaria amministrazione, assicurando una risposta energica. Rifiutarsi persino di chiamarla con il suo nome è chiaramente in contraddizione con questo obiettivo.
Inoltre, l'assenza di una previsione specifica rende di fatto impossibile il rispetto di diversi obblighi previsti dalla Convenzione - a cominciare da quello di fissare sanzioni adeguate - che ne presuppongono in qualche modo l'esistenza. Nella loro requisitoria relativa ai fatti della caserma di Bolzaneto, i pubblici ministeri hanno spiegato che, pur riscontrando gli elementi costitutivi del reato di tortura, la mancata previsione di un reato specifico li aveva costretti a ripiegare su ipotesi assai meno gravi, quali l'abuso d'ufficio. Essendo i reati in questione punibili con pene piuttosto lievi e i termini di prescrizione di conseguenza brevi, oltre a una violazione dell'obbligo internazionale di applicare pene adeguate, si è posto il problema, ancor più grave, della possibile impunità.
Dunque, il governo italiano sbaglia a non accogliere l'ennesima raccomandazione delle Nazioni Unite e noi speriamo davvero che cambi idea. Del resto, in un'interpellanza parlamentare del 21 settembre del 1999, il cui primo firmatario era l'attuale Presidente del Consiglio, si chiedeva perché nell'ordinamento italiano non fosse stata ancora introdotta l'ipotesi delittuosa del reato di tortura, mancanza descritta come «inqualificabile inadempimento« della Convenzione del 1984. E aveva ragione.
* Professore universitario ed ex presidente di Amnesty Italia

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