Il 6 giugno, giorno in cui Napolitano a Torino cercava di tenere insieme i simboli dell'Unità d'Italia, Rete 4 mandava in onda tutti i simboli della secessione di fatto con la sua Miss Padania, versione sfigata del baraccone delle miss nazionali. E se alle giornaliste di Mediaset, in particolare, e a tutte le giornaliste italiane fosse rimasto un filo di voce e un po' di indignazione dovrebbero sollevarsi e protestare ferocemente contro la pagliacciata di Miss Informazione, inserita nello spettacolino ad uso leghista e maschile. Emilio Fede ha incoronato «giornalista» una minorenne, premiata non per i reportage, le inchieste e gli studi fatti, ma per la sua avvenenza. «L'ho scelta perché è credibile» ha affermato Fede senza essersi chiesto se per caso lui pensi di risultare credibile. «In un momento come questo», ha pure aggiunto «così importante per l'informazione, servono persone che medino tra la realtà e la gente che vuole essere informata. L'informazione deve essere rispettosa». Rispettosa? E di chi? Come fa un'informazione a essere rispettosa se non informa?
Dopo la valanga di proteste seguite alla storia di veline e politica, premier e Noemi, donne come tangenti etc che si possono riassumere in un unico urlo: «basta con questa rappresentazione delle donne, siamo tante, diverse, e facciamo carriera col nostro merito» , la risposta della televisione italiana, dei suoi industriali investitori (che massacrano il loro sostentamento, cioè i consumatori), e la cura della politica è stata di rincarare la dose e di infischiarsene bellamente degli spettatori, dei cittadini e della modernità del paese. Una carrellata di politici stavano acculacchiati in prima fila al teatro degli Arcimboldi, ad eleggere le miss nordiche e ribadire che il legame del potere di vecchi e giovani ragazzotte senza né arte né parte sono tutt'uno.
Altro che merito. Altro che pari opportunità. C'era Cota (che lo stesso giorno aveva incontrato Napolitano), Umberto Bossi che faceva stringere il cuore quando faceva battute ammiccanti a Fede: «sei sempre dove stanno le belle donne», o quando tentava avidamente di baciare le gote della reticente vincitrice. C'era un'imbarazzante Letizia Moratti che sceglieva quelle giuste, ma più di tutti impressionava il sociologo Francesco Alberoni, nei suoi berlusconici panni di direttore del Centro Sperimentale di Cinematografia. Assolutamente fuori posto per il suo ruolo. Il Centro è un tempio a cui tutti dovrebbero avere accesso grazie a selezioni durissime, cultura (vera, non padana), e talento. Proprio lui che ha appena finito di lamentarsi per i tagli del governo, specchio e conseguenza dell'Italia che ha azzerato la sua identità nella subcultura televisiva e espresso una classe politica. «Farai politica nella Lega allora?» continuava il conduttore che ne infilava una dietro l'altra: «è vero che le donne sono diventate più aggressive?».
Oppure: «belle, brave ma da oggi anche intelligenti». Caspita. Le interruzioni pubblicitarie erano anche più stranianti: a chi parlava lo spot dell'automobile? Fino a quale linea gotica di consumatori? O forse è più giusto pensare che Mediaset fa un regalo all'amico leghista?
Certo fa riflettere che dopo quello spettacolo di miseria politica, sociale e culturale, tutta sessuale e sessualizzata, esperienza politica iniziata e quasi finita con «ce l'ho duro», durante ogni pausa pubblicitaria ci fosse lo spot sull'impotenza maschile: più del 50% di uomini al di sopra dei quarant'anni soffre di impotenza, diceva la voce perentoria. Basta nasconderlo! Da oggi c'è un numero verde! Il bisticcio di colori e significati ovviamente non è voluto.