CULTURA & VISIONI

Il sound di Primavera profuma di pop e metal

FESTIVAL
DIANA GIANLUCA,BARCELLONA

Il Parc forum di Barcellona ha ospitato tra il 27 e 29 maggio la decima edizione del Primavera sound festival. La kermesse catalana che ha mosso i primi passi nel 2001, ha confermato anche quest'anno, di essere la principale rassegna di suoni pop e rock -ma non solo- spagnola. Un'organizzazione meticolosa che ha curato ogni dettaglio di un programma monstre fatto di esibizioni allestite su dieci palchi- tra principali e non- composto da oltre centosessanta concerti in tre giorni, più una serie di piccoli eventi collaterali in altre aeree della città. Un happening festoso che ha accolto il pubblico, stimato in oltre centomila presenze (un record, sottolineano gli organizzatori), che ha riempito in ogni dove l'area del Forum, inclusi due sold out per il secondo e terzo giorno del Festival.
Numeri che inevitabilmente fanno pensare, se si considera che il costo dei biglietti variava da un minimo di settantacinque fino ad un massimo di centottanta euro, e che forniscono spunti di riflessione su come anche la cultura possa essere elemento di produzione economica. E tutto questo proprio nel momento in cui la profonda crisi economica getta nello sconforto la Spagna di Zapatero.
Un cartellone ricco e ambizioso, anche se i più smaliziati non hanno potutto non accorgersi che la line-up di quest'anno, in confronto a quanto offerto in passato, è sembrata meno avanti musicalmente privilegiando artisti dalla fama consolidata piuttosto che indirizzarsi verso realtà indipendenti più fresche e innovative, seppur inevitabilmente meno note.
Ma proprio le notevoli dimensioni dell'evento hanno comunque permesso di soddisfare i più svariati gusti. Non sono mancate conferme, delusioni e scoperte, circostanze necessarie ad innestare in chiunque del pubblico presente continue dissertazioni sul concerto perso e su quello visto. Le certezze portano il nome di una vecchia conoscenza nell'ambito rock, i bostoniani e sempre solidissimi Pixies - il live in assoluto più seguito- passando a un altro nome storico della scena indie rock a stelle e strisce, i Pavement. Senza dimenticare l'efficace pop-rock dei canadesi, fra le band più cool del momento, i Broken Social Scene e, forse uno dei momenti più riusciti della tre giorni iberica, il live set dei goliardici Monotonix. Poiché di non solo pop (rock) si vive, Primavera sound ha calato gli assi ad uso e consumo dei fan del rock più muscolare e tecnico, con le performance garage dei Condo Fucks ovvero gli Yo La Tengo sotto mentite spoglie, dei maestri Tortoise, dei granitici Polvo, dei Wilco e della sorpresa brasiliana Macaco Bong. Degna di menzione, anche la storyteller Scout Niblett. Ma gli elementi pop sono sempre in bella evidenza grazie soprattutto alla formazioni britanniche: certezze di ieri come i Charlatans, e speranze di domani tutte da mantenere per la rossa Florence + The Machine e gli XX, nonché dagli statunitensi Antlers, Spoon e Grizzly Bear. Spazio anche per i suoni sporchi e lacerati della New York dei piccoli club, qui ben incarnata dai maturi Endless Boogie e dai giovani Titus Andronicus. Show a fari spenti e (molta) delusione non solo per l'esibizione di Marc Almond e del duo Pet Shop Boys, ma per i celebrati e troppo sopravvalutati, Dum Dum Girls, Cold Cave e Matt & Kim.
Da rivedere le chitarre sferraglianti dei No Age e Japandroids che hanno convinto a momenti alterni. Idem dicasi per i suoni trance degli Orbital, sembrati desueti, particolarmente in confronto alla freschezza del duo di Bristol dei Fuck Bottons, il miglior momento del dancefloor notturno del Festival. Capitolo a parte meritano due set di livello: il primo di Hope Sandoval che con i suoi Warm Invention ha portato il pubblico in un ambientazione oscura e onirica d'incanto; il secondo di Lee Scratch Perry -sì esatto proprio lui- che privo di sound system ma accompagnato da una ottima band è riuscito a far materializzare la Giamaica dei '70s tra roots-reggae e funk.

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