LETTERE E COMMENTI

ADEN, LA TRAGEDIA DELLA FALLITA DECOLONIZZAZIONE

INTERVENTO
PUGLIESE ENRICO,

Tra le tragedie africane, la Somalia rappresenta una delle realtà peggiori e per la quale non si intravedono soluzioni. Si tratta di uno dei casi più gravi di fallimento del processo di decolonizzazione. Eppure per qualche decennio, agli inizi, c'erano motivi per sperare che le cose andassero diversamente. E proprio in quella fase iniziale giovani intellettuali laici, impegnati politicamente, assunsero anche responsabilità di governo. È così che Mohamed Aden Sheikh, medico e chirurgo, laureato in Italia, si trovò a essere ministro della sanità durante il governo di Siad Barre.
La drammatica storia della sua vita raccontata nel suo libro La Somalia non è un'isola dei Caraibi. Memorie di un pastore somalo in Italia ( Edizioni Diabasis) si intreccia con quella del suo paese. Nato nel 1936, quando ancora la Somalia è sotto il dominio coloniale italiano, egli racconta le vicende della sua vita da bambino («pastore somalo»), poi da studente di medicina e infine da politico, fino al suo esilio in Italia dove ha continuato la sua professione di medico e il suo impegno politico e culturale. Il libro racconta l'involuzione del regime politico di Siad Barre, della quale è starto più volte vittima. Arrestato per la prima volta nel 1975, poi nel 1982 e tenuto in condizione di isolamento per anni. Dopo il ventennio di Siad Barre, c'è la guerra civile e l'anarchia, con gli scontri tra i signori della guerra e il fallimentare intervento italiano e americano - che hanno finito per aggravare la situazione - e infine l'ascesa del leader moderato islamico Sheik Ahmed.
Del libro - ma soprattutto della storia e della situazione dei diritti umani in Africa e in Italia - si discusso lunedì in una sala del Senato per iniziativa di Pietro Marcenaro, presidente della Commissione diritti umani con Luciana Castellina, Giampaolo Calchi Novati, Giorgio Giacomelli e Pier Luigi Malsani. Ma nel libro - un po' meno nel dibattito - c'è anche l'esperienza del protagonista in Italia, dove ora vive e dove i suoi figli, come afferma in una recente intervista, «sono più pavesi dei pavesi».
Mohamed Aden Sheikh - Aden per molti compagni, tra cui molti della vecchia guardia manifesto - è una persona di grande fascino e intelligenza. Appartiene ancora a quella generazione di intellettuali del terzo mondo per i quali il laicismo sembrava una condizione naturale, come lo era stato per i padri di alcuni degli stati africani moderni e per i protagonisti del primo e glorioso momento del processo di decolonizzazione. Ma questo non gli impedisce né di dare una sua lettura non bigotta e non reazionaria della tradizione coranica né di sentirsi interno a una antica tradizione culturale locale perché - scrive - «come tutti i dirigenti somali di oggi sono nato in boscaglia, figlio di una società nomade di cammellieri e pecorai». E da questa cultura antica, oltre che dall'essere medico, viene una frase che gli ho sentito dire una volta (a casa mia): «La salute è una aureola che sta sulla testa delle persone sane...e che solo gli ammalati vedono».
La partecipazione all'incontro di esperti ma anche di protagonisti (il giovane ambasciatore di allora che ha ricordato le speranze iniziali e fallimenti successivi con i voltafaccia di Siad Barre) o del giornalista che, travestito, andava a trovare Aden agli arresti domiciliari, o di Luciana Castellina che ha raccontato l'atteggiamento nei confronti della questione della sinistra italiana ha dato alla serata un tono amichevole e ha rappresentato un'occasione per non far dimenticare la Somalia.

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