Parma amante del jazz, dopo una rassegna con tre lustri di tradizione come l'autunnale Parma Jazz Frontiere ha aggiunto il primaverile Parma Jazz Festival che si è tenuto nei primi giorni di maggio. C'è solo da invidiare i parmensi della loro abbondanza? Forse se in questi tempi di ristrettezze una nuova manifestazione viene varata con un finanziamento del Comune tre volte più grande di quello destinato alla manifestazione più antica, un problema ci dev'essere. Per esempio di opzioni in campo jazzistico. E nello squilibrio di trattamento più che un affiancamento sembra di vedere una contrapposizione. Parma Jazz Frontiere in questi anni ha guardato alla contemporaneità e ha lavorato su «progetti» originali. E Parma Jazz Festival, fortemente voluto dall'Assessorato alla Cultura della giunta di centrodestra? La serata di esordio si è svolta all'Auditorium Paganini, ad inaugurare il quartetto del pianista Antonio Ciacca, con il vibrafonista Joe Locke come guest. Direttore artistico di Parma Jazz Festival, Ciacca, oriundo italiano, ha messo radici a New York, dove lavora fra l'altro alla programmazione jazz appunto del Lincoln Center, e ha all'attivo collaborazioni che vanno da Steve Lacy a Benny Golson, da Art Farmer allo stesso Wynton Marsalis, direttore di Jazz at Lincoln Center.
Con sax, contrabbasso e batteria Ciacca e Locke, che al Jazz at Lincoln Center è pure di casa, suonano, passando da Gershwin a Ellington ad un Monk un po' addomesticato, proprio il tipo di mainstream che ci si potrebbe aspettare di ascoltare al club del Lincoln, il Dizzy's, e che sarebbe congegnale ad un club: godibile e non particolarmente impegnativo. Ma tutto il cartellone di Parma Jazz Festival risente di un'impostazione stile Lincoln Center: nella seconda serata il trio di Marcus Roberts, pianista di tutto rispetto portato in palmo di mano da Marsalis, qui all'insegna di «New Orleans meets Harlem», poi il quintetto di Wess Anderson che rivisita Charlie Parker. A questa proposta di un cartellone «rigorosamente» jazzistico, come è stato rivendicato nei convenevoli di apertura, corrispondeva fino ad un certo punto la «diva» Dianne Reeves. Annoverata fra le più significative cantanti di jazz degli ultimi decenni, la cinquantatreenne interprete è stata qui soprattutto in rapporto al contesto un po' avara di standard e di canto propriamente jazzistico, e ha puntato invece soprattutto su un versante pop e di canzone elegante, assecondata da un gruppo molto affiatato che le fornisce un accompagnamento nitido e brillante. Coinvolgente soprattutto sui registri bassi, e meno a suo agio e un po' forzata negli alti, la Reeves ha approfittato in un brano dei timbri e dello swing di Joe Locke, ha poi cantato su un ritmo brasiliano in un duetto acustico con Lubambo, e ha concluso con un trascinante brano di impronta rhythm'n'blues.