CULTURA & VISIONI

«Scrivo opere pop, ma penso sempre al grande cinema»

THE NIRO
CRIPPA STEFANO,

The Niro è un nome che verrebbe in mente solamente a chi vive nella città eterna. Come Davide Combusti, classe 1978, romano, che ha deciso vezzosamente di battezzarsi così «storpiando» il nome alla star hollywoodiana. Il giovanotto è appassionato di musica da sempre, il padre era anche un quotato batterista «Ma - spiega - non mi ha spinto verso la musica. Anzi ha cercato di dissuadermi per le tante disavventure che gli sono capitate durante una sua esperienza in Francia». Suona, da autodidatta, moltissimi strumenti: «Diciamo tutti gli strumenti a corda, chitarra, mandolino, banjo, non bene la tromba». Ascoltare il secondo cd pubblicato nella divisione international della Universal Best wishes, per credere, dove suona praticamente tutto con il solo contributo di Roberto Procaccini che co-produce insieme e Gianluca Vaccaro.
Un sound compatto e più tondo rispetto al disco d'esordio che portava il suo stesso nome, con dentro tutta la passione per i sixties, le armonie beatlesiane ma anche l'amore verso le band progressive del decennio successivo, frutto del suo tanto girovagare fra festival internazionali e concerti oltre confine. «La prima data l'ho fatta a Tuxon in Arizona cinque anni fa. Contestavo la politica americana quindi mi ero messo in testa che ci sarei andato solo se mi avessero invitato a suonare. Dopo una settimana, nel frattempo avevo messo i miei pezzi su MySpace, mi contatta una ragazza americana, una delle organizzatrici di un festival di interscambio fra musicisti parigini e di Tuxon. Mi faceva i complimenti per le canzoni e mi chiedeva se volevo, anche se non ero parigino, andare in America. È stata un'esperienza incredibile». Piovono poi gli inviti a suonare come spalla di gente come Tom Hingley, leader degli Inspiral Carpets e Lou Barlow dei Dinosaur jr: «Ho aperto anche il concerto dei Deep Purple a Roma e non mi è successo nulla. Di solito gli «opening guest» abbandonano dopo due canzoni sotto i fischi...».
Il contatto con la Universal arriva attraverso Carmen Consoli: «Ero a Londra nel 2006 perché stavo lavorando sul primo disco. Queste registrazioni finirono nelle mani dei musicisti della band di Carmen che doveva esibirsi proprio a Londra, a cui piacquero moltissimo. Da lì l'idea di farmi aprire i loro concerti, in particolare quello di Londra dove era presente un emissario della Universal. L'anno dopo avevo firmato per la divisione internazionale». I testi sono tutti rigorosamente in inglese: «Io sono timido e scrivere in un'altra lingua mi permette di affrontare tematiche e lasciarmi andare». Eppure la Universal ha insistito perché il nuovo album fosse scritto nella lingua di Dante...: «Ma l'ho spuntata, sono stato determinatissimo. Sono stato chiuso trentasei ore in casa e ho partorito una ipotetica sceneggiatura per un film musicale di diciotto brani, di cui nove appaiono su questo disco». Il cinema è un'altra delle sue passioni: «Amo la nouvelle vague francese, Michel Gondry». Testi crepuscolari; se nel primo album il tema era quello dell'abbandono, nel secondo si parla di solitudine: «In realtà all'inizio non ci pensavo proprio, poi mi sono accorto che nessuno di questi parlava d'amore ma era legato da un progetto più ampio». A parte la storia narrata in Circle, tutto il disco è strutturato come un'opera rock: «Protagonista è un mod, e la sua vita si intreccia con quella dei personaggi di altre canzoni».

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