CONTROPIANO

Apprendisti stregoni

TerraTerra
RIBEIRO SILVIA,

Considerata l'ultimo grido in certi ambienti scientifici, la geoingegneria consiste in grandi progetti di manipolazione dell'ecosistema su scala planetaria per cercare di contrastare gli effetti del cambiamento del clima - senza però toccare le cause reali.
Uno degli interventi di cui molto si parla servirebbe a riassorbire l'ossido di carbonio, un altro pretende di schermare le radiazioni solari. Alla conferenza di Cochabamba sul clima e i diritti della Madre terra sono arrvati degli scienziati per illustrare e difendere queste soluzioni «d'avanguardia». Fra questi progetti c'è quello di provocare artificialmente un effetto simile alle eruzioni vulcaniche, iniettando nelle nuvole dei solfati che, riflettendo la luce solare, creerebbero una specie di ombrello.
Non sono scienziati qualsiasi che lo propongono, fra loro c'è anche un premio Nobel di chimica, hanno il patrocinio della Royal Society britannica e l'appoggio dei governi di Stati uniti e Gran Bretagna.
Il discorso è che siccome i governi non si mettono d'accordo, tocca agli scienziati frenare il surriscaldamento globale a colpi di tecnologia avanzata. Un altro progetto consiste in «fertilizzare» gli oceani con ferro per aumentare la produzione di plancton, che assorbirebbe il carbonio e raffredderebbe la temperatura del mare. La cosa pericolosa è che questi progetti hanno una base scientifica e ci sono dietro grandi gruppi industriali pronti a metterli in pratica.
In realtà i costi ambientali e sociali sarebbero enormi e non sempre prevedibili.
Per esempio, nel caso delle finte eruzioni vulcaniche, la nube di fosfati, che sono tossici, non rimarrebbe sospesa ma scenderebbe poco a poco, andando ad acidificare i mari, e provocherebbe malattie e morti premature.
Un noto metereologo, Alan Robock, ha scritto vari articoli in riviste del calibro di Science e Nature dimostrando che, se si bombardasse l'Artico con fosfati - perché è l'emisfero nord che si vuole raffreddare - questo altererebbe i venti e le precipitazioni in Africa, come pure i monsoni in Asia, sconvolgendo i cicli agricoli e alla fine l'alimentazione di milioni di persone.
La fertilizzazione oceanica, da parte sua, provocherebbe uno squilibrio nella catena alimentare perché, oltre alla sovrapproduzione di plancton, secondo recenti studi dell'università dell'Ontario stimolerebbe l'apparizione di alghe neurotossiche. I primi a subirne le conseguenze sarebbero i pesci e tutte le creature marine, ma anche chi se ne nutre assorbirebbe le tossine.
Il fatto è che tutte queste tecnologie - e non ho menzionato le coltivazioni di prodotti transgenici brillanti per riflettere la luce solare o il progetto di produrre carbone su grande scala bruciando biomassa per pirolisi a bassa temperatura - provocano un forte impatto su ecosistemi molto complessi o su fenomeni come il clima di cui si conosce poco o comunque non abbastanza.
Non sappiamo neanche che tempo farà la prossima settimana e pretendiamo di intervenire sul clima e le sue variazioni, alterando il comportamento delle nuvole e dei mari o delle radiazioni solari. Non dobbiamo permettere che si usi il nostro pianeta come laboratorio.
(Silvia Ribeiro è una ricercatrice del gruppo Etc, rete di monitoraggio delle tecnologie e della biovidersità. Vive in Messico)

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