Il 2008 è stato l'anno zero della sinistra italiana, ridotta a componente marginale del sistema politico italiano: in una sola mossa il gruppo dirigente del Pd ha liquidato il centro-sinistra unionista e imboccato la strada perdente del solipsismo minoritario. Chi pensava a un mero incidente tattico, due anni dopo si è dovuto ricredere: con le elezioni regionali abbiamo scoperto che quel collasso elettorale si è trasformato in un collasso politico-organizzativo. Forse il dato più spaventoso. La ripresa della mobilitazione civile (che pure c'è stata negli ultimi mesi) questa volta non è riuscita ad invertire una tendenza. In Italia siamo ancora dentro il ciclo politico conservatore, e di qui bisogna partire.
1. I cicli politici si invertono, ma questo accade solo se hai preparato il terreno: costruito una narrazione nuova e conquistato posizioni dentro la società. Devi essere "sindacalista" della tua comunità: sta a te metterci contenuti che abbiano un carattere universale, antitetici al particolarismo leghista. Non parlare per mode (datemi un euro per ogni dirigente politico che d'ora in poi citerà il "territorio" e diventerò ricca) e non cambiare opinione per un sondaggio del giovedì diverso da quello del mercoledì.
2. Tornare a proporre riforme estensive, universali, che riguardino la vita delle persone (vedi Obama e la riforma sanitaria). Conoscenza e lavoro, reddito minimo, la casa, i mutui, sostegno al piccolo commercio strozzato dalla crisi, a chi ha una partita Iva per svolgere mero lavoro dipendente; ricostruire le nostre città daccapo: impatto zero, zero automobili. Libertà, reddito, verde, servizi. Riprendiamo l'agenda politica in mano, utilizzando i canali che abbiamo. In tutte le forme, sperimentali e tradizionali, che si tratti dell'arte o dell'inchiesta, con le potenzialità dei "nuovissimi" media, ma anche di quelli vecchi. Una multa d'ora in poi per chi associa il tema "riforme" solo alle questioni istituzionali: non se ne può più.
3. Partecipazione e classi dirigenti: i partiti di oggi sono totalmente inadeguati e non basta, a compensarne le mancanze, la buona amministrazione (quando c'è). Il 2008 e il 2010 ci hanno mostrato la fine della classe dirigente della stagione dei sindaci e del centrosinistra degli anni '90. Il mito del buon governo non basta più: le capacità politiche e amministrative devono essere accompagnate da una politica che si spiega, racconta e unisce. Dobbiamo sperimentare subito, da qualsiasi posizione, forme di partecipazione che abbiano continuità nel tempo: adesso serve ricostruire un campo di alternativa alla destra, far emergere le domande sociali, dar loro rappresentanza e elaborare risposte politiche inclusive e solidali. Tornare a far politica, insomma.
4. Se i nostri partiti fossero stati adeguati alla sfida del presente, forse non avremmo perso il Lazio: dopo il caso Milioni, quando si era aperto uno spiraglio per la riconquista della Regione, avremmo dovuto muoverci come un campo unitario di forze, attraverso piattaforme d'intervento comuni. Invece avevamo marchi in franchising per i singoli candidati, e sostanzialmente nessuno luogo comune di partecipazione e discussione. Non basta una candidata a fare una coalizione. A Roma mancano quasi 200 mila voti rispetto al 2006: li ha persi Rutelli, non li abbiamo ritrovati alle europee, ne abbiamo recuperati solo 20 mila il 28 marzo. La destra non supera i voti che aveva nel 2001 o nel 2005, né con Alemanno né con la Polverini: vince a causa delle nostre mancanze e da queste bisogna ripartire.
* vicepresidente Provincia di Roma