CULTURA & VISIONI

Nell'eresia una chiave per rileggere la storia

SAGGI - Enzo Mazzi elegge un nuovo archetipo da decifrare
LA VALLE RANIERO,

LIBRI: ENZO MAZZI, IL VALORE DELL'ERESIA, MANIFESTOLIBRI, PP.141, EURO 15

Un libro che viene da Enzo Mazzi, storico animatore della comunità fiorentina dell'Isolotto, non si può che prendere con rispetto e con l'intento di capire cosa ci voglia dire. È chiaro che quest'ultimo, Il valore dell'eresia, ha fin dal titolo l'intenzione di rivendicare valore a ciò che invece è solitamente spregiato e, peggio ancora, combattuto: l'eresia, appunto, e più concretamente gli eretici. Che l'eresia possa avere, e storicamente abbia avuto, un ruolo positivo ai fini della stessa presa di coscienza o chiarificazione dell'ortodossia, è una cosa ben nota: anche Agostino nel De vera religione riconosce l'importanza che gli eretici hanno avuto nell'incentivare la «ricerca della verità»; né l'eresia può avere solo un connotato negativo se nella storia della Chiesa vi sono state eresie che prima di essere qualificate o condannate come tali, altro non erano se non una delle possibili vie nella definizione del dogma: come avvenne per la controversia ariana, che vide schierate da una parte o dall'altra Chiese intere e vescovi e scuole teologiche, anche dopo il Concilio di Nicea che decise quale fosse la vera religione. Ariane, dopo Nicea, furono anche molte diocesi italiane, a cominciare da Milano, prima di Ambrogio; né va dimenticato che l'evangelizzazione dei Goti venuti dall'Est, che sono alle radici cristiane dell'Europa, avvenne per opera di un grande vescovo ariano, Ulfila, sicché è di derivazione ariana («il Figlio non coeterno al Padre») gran parte del cristianesimo europeo, ciò che spiega molte cose della spiritualità e anche del secolarismo dell'Occidente.
Ma Enzo Mazzi vuole stabilire uno statuto privilegiato dell'eresia, che lungi dall'essere un fattore di destabilizzazione e di devianza, sarebbe una sorta di archetipo capace di reggere tutta la realtà, fino a fare di essa - benché egli non usi questo termine - la nuova, vera ortodossia. È questa la vera provocazione del libro, anche se la maggior parte delle sue pagine, che si leggono con grande interesse ma si muovono su binari più consueti, sono dedicate alla rievocazione e alla illustrazione di grandi figure della storia dell'eresia: da Gioacchino da Fiore con la sua «terza età dello Spirito», a Giordano Bruno con il suo naturalismo antidogmatico, a Girolamo Savonarola con il suo voler fare di Cristo, contro ogni sovrano, papa o signore, «il re di Firenze», al modernismo di Ernesto Buonaiuti; arrivando a figure e movimenti che, pur controversi, non si possono mettere in conto all'eresia,come Teilhard de Chardin, papa Giovanni XXIII, il Concilio Vaticano II, le teologie della liberazione, le teologie femministe, le teologie africane, le comunità di base e così via; ma se il Concilio lo dicessimo eretico, daremmo ragione a chi lo teme come causa di «anarchismo spirituale».
Il punto di novità proposto dal libro consiste nel fare dell'eresia la chiave interpretativa della storia, e addirittura della esistenza del tutto, sicché perfino il Big Bang, da cui si è sprigionata la forza primordiale creatrice dell'universo, sarebbe una grande eresia, la prima. Per don Mazzi, tuttavia, questa non è una tesi bensì una intuizione, dunque non ha alcun carattere normativo. Le intuizioni sono come «sogni notturni da decifrare», il che non significa che siano in contrasto con la razionalità. Il sogno, però, va interpretato, è anche memoria del vissuto. Questo, senza dubbio, ha al fondo un'esperienza di persecuzione, che fa parte dell'autobiografia dell'autore e lo mette nella stessa schiera degli eretici di cui parla; ed è un sogno non privo di incubi, come le torture e i roghi in cui molti di loro in passato sono incorsi. Quanto al contenuto del sogno, esso consiste nell'identificare un nuovo principio di tutto, una arché. Se per gli ebrei in principio era il Dio creatore, per Eraclito era pólemos, la guerra, per i cristiani era il Verbo, qui invece in principio è l'eresia. È lei la grande madre, la forza generativa primordiale, principio di ogni trasformazione, energia espansiva di contro all'immobilità di un universo contratto e rattrappito; è lei che fa da fondamento e da discernimento della realtà.
L'eresia è innanzi tutto antitetica al sogno dell'immortalità con cui gli uomini cercano di affrontare l'angoscia della morte. Questo rifiuto della morte sarebbe il primo dogma, la prima ortodossia, da cui ogni altro dogma deriverebbe, e dal quale a sua volta discenderebbero la cultura degli assoluti, l'invenzione degli dèi e del dio unico onnipotente, con tutto l'edificio del sacro. Di contro l'eresia starebbe nella pacificazione profonda tra la vita e la morte, nel dare la vita non in senso sacrificale ma nell'accettazione gioiosa della morte. L'altra eresia, che discende da questa, è quella dell'amore di contro alla violenza di una natura umana immaginata come corrotta e dominata dal peccato. E, inoltre, l'eresia della convivialità di contro a un mondo considerato come ineluttabilmente destinato al dominio. Nel cuore di queste antitesi si coglie il messaggio, se non la tesi, di questo libro: non è vero che siamo fatti per la violenza, per la distruttività, per il dominio e per la guerra: non lo siamo né biologicamente né divinamente. Al contrario saremmo determinati alla pace («stoffa di cui è fatta tutta la realtà») all'amore («impresso nel nostro profondo e forse nel profondo stesso dell'universo») alla convivialità (che è «all'origine della storia», come mostrano le scoperte sulla cultura ancestrale). C'è una suggestione in questo sogno, ma sorgono anche alcune difficoltà. Nel senso comune l'eresia è una realtà seconda, che si pone in contrasto con un'altra che le sta di fronte, che le preesiste, che sarebbe appunto l'ortodossia, la verità. Qui invece l'eresia è la causa prima, sottratta alla dialettica; militando contro tutti gli assoluti diventa lei l'assoluto, contro le trascendenze si fa trascendenza, contro il sogno dell'immortalità si fa metafisica. Certo, poi entra nella storia, ma vi discende dai cieli dell'idea.
L'altra difficoltà è supporre che ci sia una determinazione al bene, invece che al male. Ma l'essere uomo e l'essere donna sta nella libertà: questo vuol dire che essi non sono determinati al male (come vorrebbero le antropologie pessimistiche) ma neanche al bene; sono non determinati: il bene si deve scegliere. Mazzi ammette che l'amore e la pace possono essere doni di Dio, sia pure di un Dio pensato «in modo nuovo», fuori da trascendenze e onnipotenze e verità esclusive; ma se Dio rientra in gioco, allora prima del dono c'è che nell'uomo è impressa la sua immagine, la quale appunto consiste nella libertà. È in forza di questa immagine di Dio in lui che l'uomo è libero di scegliere il bene come il male; e allora il bene forse non è necessariamente l'eresia, ma è la somiglianza con Dio, libera risposta a libero dono.

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