MEDIA&SPORT

Trucchi e rieducazione Calciopoli in salsa cinese

PECHINO
PIERANNI SIMONE,PECHINO

Proviamo a fare un po' di fantacalcio. A tirarcela potremmo dire di abbozzare una distopia su argomento calcistico, un romanzo criminale del calcio. Immaginiamo Calciopoli fosse avvenuta in Cina: Lazio, Fiorentina e Milan sarebbero state retrocesse in seconda divisione. La Juventus radiata. Non solo: le prime tre avrebbero dovuto obbligatoriamente ridurre gli ingaggi di giocatori e dirigenti. Del Piero e compagnia zebrata avrebbero dovuto cercarsi una squadra, di seconda divisione al massimo. Camoranesi al Gallipoli, Legrottaglie al Crotone, magari qualche juventino avrebbe provato a passare al Toro e chissà cosa poteva succedere. Non solo: gli arbitri e i dirigenti coinvolti sarebbero stati mandati in strutture rieducative. Lì, ad esempio, Moggi a lezione da un grande saggio del calcio italiano (non ci viene in mente nessuno, forse giusto Gianni Mura) avrebbe appreso le ragioni del suo isolamento e avrebbe cantato e confessato. O alcuni arbitri avrebbero potuto dimostrare come si pilota una partita di calcio perché finisca, è un esempio naturalmente, 3-3 come un Lecce-Parma di qualche anno fa. Se l'Italia fosse la Cina, e non è detto che non possa succedere in futuro, visti i continui tentativi di arginare la libertà su internet e non solo, il nostro Premier avrebbe invitato i dirigenti a fare una bella piazza pulita (togliendo dal commercio le statue di qualche pagoda cinese particolarmente contundente, glielo concediamo) e avrebbe chiesto ai suoi dirigenti di ascoltare in modo attento la rieducazione, lasciando perdere l'amore, il 4-4-fantasia e gli stadi per giustificare quattro sberle prese a Manchester. C'è da chiedersi cosa avrebbe detto Mourinho. Forse avrebbe inneggiato al Tibet (c'è un precedente sgradito a Pechino: quando a Mourinho tempo fa gli venne chiesto se conosceva Lo Monaco, dirigente del Catania, rispose che di monaci conosceva solo quelli tibetani: una mezza prova da queste parti, ma questa è un'altra storia), avrebbe forse accusato di prostituzione intellettuale i giornalisti cinesi. Magari urlando un facilissimo e scontato zeru tituli, fino a mimare il gesto delle manette, una volta salito su una macchina della polizia cinese. Da lì in avanti, però, si sarebbero perse le sue tracce. Quaresma a quel punto sarebbe partito alla volta della Cina a cercare tracce del suo profeta, mentre qualche miliardo di firme sarebbero state raccolte per candidare il vate di Setubal al premio Nobel per la Pace. In contumacia e allora si che sarebbe diventato un martire.
Invece: in Italia si sa come è finita, mentre in Cina allo scandalo più grande nella storia del calcio locale - centinaia di partite truccate, interi campionati taroccati, retrocessioni e promozioni farlocche, arbitri venduti, dirigenti in famelico shopping - hanno reagito esattamente così: una squadra radiata, due compagini retrocesse e rieducazione per circa duecento persone tra arbitri e dirigenti sportivi. Qualche calciatore ha cantato e così su alcuni giornali ci si è divertiti a disegnare le pagliacciate con le quali alcuni di loro provavano a farsi autogol. Siamo alla suprema astuzia: non si trattava, per dire, di perdere una partita. Si trattava, magari, di beccare un golletto, già in vantaggio sul 3-0. E' accaduto questo: un presidente si gioca il 3-1 nella partita della sua squadra. Sul 3-0 in proprio favore, sente vicina la vittoria di molti soldi. Manda un sms al capitano, che tiene un cellulare galeotto in panchina. Sms: fatevi un autogol. Secondo sms: prima possibile. Fine del messaggio. Le confessioni dei calciatori, per altro, colmano il vuoto di una serie di ricerche sugli interessi delle mafie asiatiche nel truccare la partite. Quando Declan Hill scrisse Calcio Mafia (Rizzoli, 2008), si chiedeva proprio questo: come avviene in campo il trucco? Pochi i giocatori che parlavano, ancora meno quelli che potevano dimostrare di avere taroccato una partita. Erano solo supposizioni, teorie. Dalla Cina arriva la prova empirica. Quanto agli arbitri, Wei Di, nuovo capo del calcio cinese è stato chiaro: «gli stiamo dando l'opportunità di redimersi. Attraverso una rieducazione possono confessare i loro crimini e ottenere pene più miti». Messaggio chiaro: vi conviene pentirvi e parlare. Poi che fine faranno non si sa, qui in Cina i fiori sbocciati e poi finiti in carcere non sono un ricordo certo dimenticato.
E poi il futuro: sempre Wei Di vuole un nome di prima classe alla guida della Cina (ha scomodato Hiddink), perché arrivare ai mondiali del 2014 è fuori discussione. Infatti a rieducarsi hanno mandato anche gli allenatori delle squadre nazionali, così per non sbagliarsi. Nel frattempo a Pechino si sogna il mondiale per club. Il Beijing Guoan, squadra della capitale, fresco vincitore del titolo cinese, sta volando nell'Asia Champions League: vittoria di misura interna contro gli australiani e impresa in casa dei giapponesi del Kawasaki. Un 3-1 sotto la neve che sa già di storia, auspicando che sia vera gloria.
E proprio pochi giorni dopo il successo dei verdi di Pechino, la notizia clamorosa: il campionato cinese sarebbe infatti a rischio partenza. La sensazione è che nel Regno di Mezzo potrebbe davvero esserci una sorta di anno di pausa, giusto in tempo per sistemare le cose. Troppi i calciatori e i dirigenti coinvolti e non è detto che il numero non sia destinato ad aumentare. Secondo fonti giudiziarie infatti, ci sarebbero altre compagini sotto inchiesta. Il disastro rischia di diventare globale. Wei Di recentemente ha fatto capire che il campionato è fortemente a rischio: inutile fare partire la stagione, ha detto, per proteggere gente che ha violato la legge. L'intenzione è di fare tabula rasa e ripartire. Anche perché ad essere in crisi non sono solo le principali competizioni nazionali, ma il movimento calcistico cinese in generale, con un calo di calciatori, di spettatori e di attenzione da parte del pubblico, anche televisivo. E un anno da queste parti, è un tempo piuttosto breve.

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