«Riusciamo ad avere un breve contatto con questi stronzi che iniziano a gridare 'Boia chi molla è il grido di battaglia'. Sono quei bastardi fascisti del Commandos Tigre. Bene. Mi infiammo ancor di più mentre i nostri nazi si fermano, quasi sorpresi di trovarsi di fronte a milanisti camerati. Erano convinti di trovare zecche del Leoncavallo aderenti alle Brigate Rosso Nere e alla Fossa dei Leoni. Invece niente compagni ma solo poche decine di ultras fascisti». E giù botte. Per vendicare l'uccisione di Antonio De Falchi, romanista, morto nell'89, a diciannove anni, dopo un'aggressione dei tifosi milanisti. Il racconto, un po' romanzato, della vendetta giallorossa a Milano, dell'anno successivo, è vista dagli occhi di un ragazzo «ribelle», di borgata, che in quel momento odia i camerati dei Commandos Tigre. La stessa rabbia porta il giovane a scontrarsi con la polizia in manifestazioni del movimento studentesco o in difesa di Ocalan, allora «ospitato» in Italia, o durante un picchetto antisfratto nella sua Magliana (periferia sud della capitale) o a picchiarsi con i fascisti dopo la riunione nel proprio centro sociale. In totale sono 12 storie di stadio e piazza che danno vita al libro Non dimenticare la rabbia di Marco Capoccetti Boccia (edizione Agenzia X, pp139, 12 euro).
L'autore, al suo primo lavoro, vuole raccontare un decennio, quello che va dall'89 al '99, dimenticato o comunque non narrato dall'interno. Lo fa usando il linguaggio ruvido della strada, descrivendo scazzottate nei dettagli, i volti coperti, le bastonate, le sassaiole contro la celere. Ma l'estetica dello scontro non è fine a se stessa: si parla di utopie resistenti, di giovani a loro modo ribelli e di resistenze diffuse. «Anche la letteratura indipendente e underground - afferma lo scrittore - si è soffermata principalmente sui movimenti negli anni '70 e '80 o sul popolo no-global successivo a Seattle. Nel mezzo c'era un gap che ho voluto colmare». Parlando di protagonisti dimenticati e messi nell'ombra. Ne esce un libro vivace, scorrevole nella lettura, capace di incuriosire chi quegli anni non li ha vissuti o li ha solo sfiorati. «Un bombone viene fatto esplodere dentro la sede della compagnia aerea turca. Il botto rimbomba paurosamente in tutta la piazza. Esplodiamo di gioia! Iniziamo a gridare 'Kurdistan libero' a squarciagola, e per un attimo sembra che tutta la piazza ci venga dietro, in migliaia gridano insieme a noi...», racconta il brano sugli scontri a Roma per protestare contro la svendita di Ocalan del governo D'Alema. La storia più veritiera.
Perché molte altre sono romanzate, partono da spunti reali per poi dar spazio alla fantasia: i feroci scontri tra gli elfi (sic) e la polizia avvengono nel cimitero Verano, gli agenti sparano. Come avvenne al funerale di Valerio Verbano. Infine, qualche pillola è inventata di sana pianta: è il caso, ovviamente, degli attivisti che prendono il Quirinale, dopo un assalto, e fanno sventolare la bandiera rossa dal palazzo. La famosa canzone Comunisti sulla capitale, intonata nelle piazze per generazioni, docet. «Ho voluto estrarre i racconti dalla realtà - spiega Capoccetti Boccia - Per far sognare e impersonificare maggiormente i lettori». Ne esce un ibrido, dove a volte non si capisce quando termina la cronaca e comincia la fantasia. Il libro, che è la raccolta di 15 anni di narrazioni dell'autore, alterna episodi di ribellismo politico a quelli di tipo teppistico negli stadi: la composizione della curva romanista alla fine degli anni '80, però, era molto differente da quella attuale, poche erano le presenze fasciste. Per lo scrittore, all'epoca, gli ultras rappresentavano veramente un movimento di contestazione: «Sciarpe nascoste, passo veloce, cinte alle mani. Nessuno di noi ha più di vent'anni, di cui almeno due passati a fare gli scontri allo stadio o nelle strade. Non accettiamo compromessi. Né con la società, né con i capotifosi ormai omologati. Siamo noi il futuro della curva», così recita una delle parti finali del libro.
La storia è andata diversamente, tanto che l'autore non frequenta più il mondo ultras e ne parla con distacco. Rimane la speranza di ribellione delle nuove generazioni: caparbie nello scontrarsi contro il conformismo nelle strade, nelle periferie e, anche, negli stadi.