CULTURA & VISIONI

Salinger personaggio in un libro di Kinsella

ROMANZI - Apologo sull'America come metafora del baseball
ALBERTAZZI SILVIA,

LIBRI: W. P. KINSELLA, SHOELESS JOE, 66THAND2ND, PP. 297, EURO 15

Shoeless Joe, romanzo del canadese W. P. Kinsella, apparso nel 1982 nel Nord America, ma tradotto solo ora nella nostra lingua, acquista una peculiare attualità alla luce della recente scomparsa di J. D. Salinger. Pubblicato in una collana in cui, secondo le intenzioni dell'editore, vengono accolte opere narrative «che hanno lo sport come detonatore della storia», oggi si può leggere come un omaggio postumo al grande recluso del New Hampshire, «personaggio quasi romanzesco e certamente simbolico nella leggenda della letteratura americana», come il suo biografo non autorizzato Ian Hamilton ebbe a definirlo.
Nel lavoro di Kinsella, infatti, Salinger abbandona la sua decennale segregazione per aiutare un giovane agricoltore idealista a realizzare un folle sogno: costruire un campo da baseball in cui un grande (e defunto) campione del passato, travolto da uno scandalo nel 1919, Shoeless Joe Jackson, potrà tornare a giocare, insieme ad altre carismatiche figure sportive del tempo che fu. Attuando un desiderio del giovane Holden salingeriano - quello di contattare gli scrittori favoriti ogni volta che lo si desideri -, il protagonista di Shoeless Joe (che di cognome fa Kinsella, come il suo autore, ma, essendo il suo nome Ray, risulta anche omonimo del personaggio principale di un racconto di Salinger), sequestra lo scrittore e lo convince a entrare nel suo sogno, ovvero in un campo da baseball ai confini della realtà.
Metafora che attraversa tutta la narrazione, il baseball spinge Salinger a uscire dal proprio isolamento, portandolo persino a rimpiangere il tempo trascorso in volontaria reclusione. «Mi piacerebbe avere la tua passione per il baseball» dice al Kinsella fittizio in un momento chiave del racconto. «Per quanto folle, è pur sempre una passione. Se potessi ricominciare da zero, cambierei molte cose. Vorrei più passione. Meno paura e più passione, più azzardo. Meglio morire con dei rimorsi che con dei rimpianti».
Definito al suo apparire un apologo sulla «America come metafora del baseball», Shoeless Joe appare piuttosto la continuazione magico-realista del Giovane Holden, il romanzo definitivo sulle difficoltà della crescita, a detta dello stesso Kinsella, che suggerisce come le pene sofferte dai ragazzi nel traumatico passaggio dall'adolescenza alla giovinezza possano essere lenite proprio da questo sport.
«Il giovane Holden è il romanzo perfetto sul dolore che prova un adolescente o sul crescere con questo dolore», spiega il protagonista di Shoeless Joe a Salinger per convincerlo a seguirlo. «Crescere è un rito, più mortale della religione, più complicato del baseball, perché non si capiscono le regole. È tutto una prima volta. Ma il baseball può calmare perfino questo dolore...» Nella versione cinematografica del 1989, diretta da Phil Alden Robinson, Shoeless Joe divenne Field of Dreams (L'uomo dei sogni, in italiano), a Salinger si sostituì un immaginario romanziere di colore, mentre la fede nella realizzazione dei sogni, anche i più impossibili, del protagonista romanzesco lasciò il posto a una invasiva nostalgia per la «fantasia al potere» di stampo sessantottino. Al grido di The Sixities are back (di cui invano si cercherà traccia nel testo narrativo), i coniugi Kinsella nel film sfidavano il fato, opponendo alla perdita di ideali tardo novecentesca il proprio testardo aggrapparsi agli ideali degli anni Sessanta, mentre il baseball non appariva più che un pretesto per rivendicare la presenza del soprannaturale «dietro l'angolo».
Se il Kinsella del romanzo, nel 1982, è convinto che sia sufficiente credere ai sogni perché essi si avverino, quello interpretato da Kevin Costner nell'89 non usa più i sogni per dare senso a una realtà che non gli piace, bensì per dimostrare di non avere sciupato la propria giovinezza inseguendo utopie obsolete. Viene spontaneo domandarsi come il pubblico italiano leggerà il Kinsella del 2010, incontrato quando ormai la sua eccitazione per essere riuscito a cenare con Salinger, a Boston, e poi a trascinarlo a una partita dei Red Sox, è per forza di cose ridimensionata a fantasia inattuabile. Piacerebbe pensare che il lettore di oggi, pur lasciandosi affascinare dalla complessa rete di scambi e interazioni postmoderni tra lettore e autore, fittizi e reali, e tra gli autori Kinsella e Salinger e le loro creature, saprà trovare «abbastanza magia» nel testo da riuscire a soddisfare il proprio inconfessato desiderio di favole, di miti, di strizzamento degli occhi «quando il cielo è così azzurro che quasi non si riesce a guardarlo», come dice Doc Graham, un altro grande vecchio del baseball convocato nel campo dei sogni.
La riuscita del romanzo di Kinsella e la sua attualità risiedono nella capacità di trasformare il baseball in una metafora accessibile anche ai non sportivi («la fiducia o la libertà o il rito o la fedeltà o la gioia»): un gioco «duro, puro, sincero e prezioso come un diamante» che, per contrasto, mette in evidenza la complessità e le difficoltà dell'esistenza. Forse la chiave per l'interpretazione di Shoeless Joe nel terzo millennio sta in una epifania che colpisce il Kinsella personaggio romanzesco durante una giocata dei Red Sox a Boston: «Se solo la vita fosse così semplice... se solo la vita avesse una struttura fissa, se ci fossero delle regole da seguire. Ma all'improvviso, come il lampo argentato di un fulmine all'orizzonte, scorgo un significato che prima non avevo colto. (...) Nel campo da gioco può capitare di tutto. La marea può invertirsi e l'oceano aprirsi. Ecco perché dicono: "La partita non è finita finché l'ultimo giocatore non viene eliminato". I colori possono mutare, le vite possono cambiare, ogni cosa è possibile in questo gioco armonioso, perfetto, adorabile». Questo gioco che è il baseball e che, secondo la convinzione di Kinsella, è anche la vita.

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