INTERNAZIONALE

Liu condannato a undici anni, protestano gli Usa e l'Unione europea

PECHINO Colpevole di aver chiesto riforme politiche: confermata in appello la sentenza nei confronti uno dei dissidenti più noti
PIERANNI SIMONE,PECHINO

La tigre, simbolo del nuovo anno cinese che comincerà domenica prossima, avrà un doppio aspetto: quello di un sornione animale dal passo felpato e letale e quello di uno sguardo reso oscuro da una gabbia insuperabile. «Ce lo aspettavamo», ha detto Liu Xia, moglie di Liu Xiaobao, il dissidente cinese (nella foto) che ieri si è visto respingere il suo ricorso e confermare la sentenza a undici anni di reclusione. Motivo: avere partecipato alla stesura e alla diffusione di «Charta 08», un documento in cui venivano chieste riforme politiche graduali al partito comunista cinese. Più che quel documento, dai toni pacati e intellettuali, nella condanna ha pesato il passato di Liu, la sua partecipazione al vero buco nero della recente storia cinese, il movimento studentesco represso nel giugno del 1989. Più di ogni cosa Pechino, anche in epoca non comunista, ha temuto il «luàn», il caos, la mancanza di un ordine delle cose. A poco serviranno le proteste occidentali, come testimonia la rapidità dell'iter giudiziario: condanna di primo grado il 25 dicembre e pena confermata tre giorni prima del capodanno, quando i cinesi sono con la testa in vacanza, desiderosi di ascoltare buone notizie e buoni auspici per il futuro. Di Liu Xiaobo ai cinesi, interessa poco.
Secondo il portavoce dell'ambasciata americana, già fortemente critica in occasione della prima sentenza, per intercedere e chiedere una liberazione del dissidente si starebbe muovendo perfino il presidente Obama. Forti anche i toni usati dall'Unione europea, presente con alcuni suoi rappresentanti fuori dal tribunale pechinese: «Il verdetto contro Liu Xiaobo è incompatibile con la sua libertà di espressione. L'Unione europea chiede alla Cina il rilascio incondizionato di Liu e la fine delle persecuzioni e gli arresti ai danni dei firmatari di Charta08». Fuori dal palazzaccio del tribunale supremo di Pechino, giornalisti, rappresentanti di nazioni estere e polizia. Molti di loro con videocamere. Unanime il consenso per la liberazione di Liu, sulla quale si è poi espressa anche Amnesty International: «È il terzo caso di dissidente in una settimana sul quale le autorità cinesi si sono accanite. Il messaggio è chiaro: chi critica il sistema fuori dai parametri imposti dalle autorità viene represso».
Una settimana turbolenta per i cinesi che mal sopportano lo status quo: a Liu è stata confermata la pena, Tan Zuoren è stato condannato a 5 anni di prigione, mentre un giovane Xue Mingkai, è stato condannato a 18 mesi di carcere per sovversione, poiché avrebbe appoggiato il Partito democratico cinese, con sede in Usa e vietato dalle autorità locali. «Ho sempre desiderato, ha detto durante l'interrogatorio, partecipare alla vita politica del mio paese per cambiare il modo di governare del Partito Comunista». La risposta della Cina a questa settimana controversa, è quella della tigre immobile e certa di sé: «Non esistono dissidenti in Cina», ha tagliato corto Ma Zhaoxu, portavoce del ministero degli esteri.

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