CULTURA & VISIONI

Una musica psichedelica per trip da consumarsi in tutta fretta

CONCERTI Gli Air alla Sala Sinopoli dell'Auditorium. Suonano algidi e «cool» e sembra di vederli sfrecciare in decappottabile anni Settanta...
CORZANI VALERIO,ROMA

Ascolti gli Air ad occhi aperti e pensi a una decapottabile che sfreccia sulla Costa Azzurra, se li chiudi ti viene incontro una pioggia psichedelica. La magia del duo francese formato da Jean Benoit Dunckel e Nicolas Godin è tutta qui. Non è poco naturalmente. Trovare un suono fascinoso e inconfondibile, legarlo a qualche soluzione strumentale (tastiere vintage e basso caldissimo pur essendo suonato col plettro), produrre dischi veicolati in tutto il mondo è già una conquista di questi tempi. La Sala Sinopoli dell'Auditorium di Roma conferma ed esalta queste caratteristiche peculiari.
Gli Air si presentano in tre sul palco: Dunckel alle tastiere e alla voce, Godin al basso elettrico, chitarra acustica, tastiere, voce e vocoder, Joey Waronker alla batteria. Suono live appena un po' più scarno di quello dei dischi anche se i tre sono bravissimi a palleggiarsi timbriche e soluzioni di fraseggio e anche se ogni tanto approfittano, senza darlo a vedere, di qualche base di troppo (in un paio di brani Godin suona la chitarra acustica in playback...). C'è da mettere in scena un album nuovo nuovo, Love 2, declinato su brani come African Velvet e Tropical Desease in cui un esotismo da pellicola seventies viene rilanciato nel nuovo millennio da qualche ritmica più evoluta, da un accento electro, da una consapevolezza pop che attraversa non solo gli anni settanta, ma anche i due decenni successivi. Certo Dunckel e Godin, pur essendo molto cool nei loro completi bianchi, hanno la carica comunicativa di un iceberg al largo delle Svalbard e l'unica cosa che riescono a dire per elettrizzare il pubblico è un «grazie mille» col vocoder. Certo qualche brano soffre la confezione: Space Maker dall'album Pocket Simphony, Playground Love dalla colonna sonora de Il Giardino delle Vergini suicide e La femme d'argent dall'indimenticabile e sfavillante «safari sulla luna» col quale esordirono nel 1998, potrebbero essere dilatate molto di più, accentuando quella vena psichedelica che li ha fatti accostare a più riprese a Tangerine Dream e Pink Floyd. Invece niente, i due transalpini che cantano rigorosamente in inglese (e anche per questo hanno fatto il botto in tutto il pianeta), si tengono stretta la forma-canzone, sciorinano un repertorio comunque implacabile e lasciano che le visioni evocate dai loro brani si consumino in fretta, come inquietanti trip-bonsai.
Sono algidi, melliflui, non sudano neppure un po'. Le loro camicie bianche restano intonse. La sensazione è che sappiano esattamente quello che stanno facendo e quello che il pubblico, la stragrande maggioranza almeno, vuole da loro. Controllano i suoni con abilità da sound engineer, alternano le hit dei loro album, terminano il concerto con il mega schermo alle spalle che mette in mostra l'ennesima citazione vintage: il videogioco Pong che piano piano trasforma i grafici della partita in atto nella scritta «Air» e manda tutti a casa.

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it