TERRITORI

C'era una volta LA MARCA

altra italia - UN LIBRO SU COME È CAMBIATA LA REGIONE
SINIGAGLIA SERGIO,ANCONA

L'ultima "perla" è stata annunciata prima di Natale. Un accordo tra le Regioni Abruzzo, Marche e Molise e le Province di Ancona, Macerata, Fermo, Ascoli, Teramo, Pescara, Chieti e Campobasso, per realizzare «un collegamento interno viario parallelo alla costa adriatica». Il tutto presentato come essenziale per lo «sviluppo e la competitività del territorio». In sostanza altre strade, altro traffico su gomma, altri danni all'ambiente e al patrimonio agricolo e naturale. Una politica schizofrenica che nell'esaltare la qualità paesaggistica della regione, continua a produrre progetti sempre più impattanti e poco legati alle esigenze reali. Ma come si è evoluto il territorio marchigiano dal punto di vista sociale, economico e anche demografico? Una risposta originale e degna di attenzione viene dal libro "Città in nuce nelle Marche" (Franco Angeli, pp.219, 27 euro) scritto da Antonio Calafati e Francesca Mazzoni. Si tratta di uno studio che analizza le peculiarità della regione nel suo divenire in questi decenni, dopo che «dall'inizio degli anni Ottanta, l'organizzazione territoriale, la struttura socio-economica e la configurazione istituzionale hanno cessato di essere un oggetto di studio». Francesca Mazzoni è un'economista e svolge attività di consulente nel campo della riqualificazione urbana e dello sviluppo locale, mentre Antonio Calafati è docente presso la Facoltà Giorgio Foà di Ancona dove insegna "Economia Urbana". In particolare, Calafati è un economista che da tempo dedica il suo lavoro di ricerca nei campi dello sviluppo locale e urbano, con una particolare attenzione e sensibilità alle ricadute sull'ambiente.

Una nuova geografia
Al centro del libro c'è una divisione del territorio marchigiano fuori della tradizionale suddivisione politico-amministrativa delle quattro province, oggi cinque con Fermo, e viene proposta una sua riformulazione in undici sistemi urbani, secondo la trasformazione che questi hanno avuto a partire dagli anni Cinquanta, con altrettanti Comuni 'centroidi', neologismo con cui si indica dei capoluoghi comprendenti, a loro volta, altre località minori. Le città individuate sono: Pesaro, Fano, Senigallia, Ancona, Jesi, Fabriano, Civitanova Marche, Macerata, San Benedetto, Ascoli Piceno e Fermo. Il tutto è visto in una logica di connessione intercomunale, quindi proponendo di superare la storica centralità municipale, sull'esempio di ciò che è avvenuto e sta avvenendo in Europa, in particolare in Francia e Germania. Un'analisi che, pur partendo da una regione specifica, ha una valenza nazionale tanto che a marzo uscirà un nuovo saggio per la Donzelli dove viene proposta la stessa visione per tutto il Paese. Abbiamo incontrato il prof. Calafati per analizzare le linee principali del suo studio, alla base del quale c'è il concetto di sistema locale.

I sistemi locali intercomunali
«Il fenomeno della formazione di sistemi locali intercomunali - che ha profondamente modificato l'organizzazione territoriale dell'Italia - è stato sottovalutato», racconta, «nell'interpretazione del cambiamento è prevalso ciò che definirei "paradigma territoriale": il territorio come rete di individui, di imprese, di insediamenti. In sostanza, nella lettura che si è data è scomparsa la specificità della trama territoriale e si è affermato uno sguardo indifferenziato, che è speculare alla retorica della "comunalità": i comuni italiani come elementi di una "città infinita", senza identità, senza governo. La formazione dei sistemi locali intercomunali - in particolare dei sistemi urbani, fenomeno di straordinaria rilevanza economica e politica - è stata ignorata. E anche, di conseguenza, le sue implicazioni istituzionali - ovvero, il superamento dell'attuale poliarchia nel governo dei sistemi urbani in quanto ambiti spaziali governati da una pluralità di amministrazioni comunali».
Calafati rileva come «interpretare il territorio italiano in termini di 'sistemi locali intercomunali' è una prospettiva che si consolida nel dibattito scientifico tra la fine degli anni settanta e la metà del decennio successivo; gli stessi 'distretti industriali', di cui molto si è parlato in Italia, avevano un carattere intercomunale. Ma questa prospettiva interpretativa non è riuscita a imporsi nel discorso pubblico e a influenzare le politiche. Nel caso delle Marche - come in altre regioni italiane - essa si è scontrata con letture ideologicamente più rassicuranti, per quanto infondate, come quella della "città-regione». In Toscana, più che altrove, si è utilizzata una lettura intercomunale del territorio, e di questa impostazione vi sono tracce nella programmazione regionale. Il nostro libro invita a guardare le Marche in base alla riflessione teorica che si è affermata negli ultimi due decenni, fondata, appunto, sul concetto di "sistema locale", su una lettura moderna delle trasformazioni territoriali.
Negli anni settanta la ricerca ha analizzato l'evoluzione del territorio marchigiano mettendone in risalto «l'industrializzazione senza fratture» per citare un noto saggio del Prof. Giorgio Foà, un'analisi che Calafati reputa abbia perso di validità. Infatti, la tendenza alla "diffusione" ha avuto una inversione di tendenza trasformandosi in concentrazione, così il processo economico si è raccolto in una porzione di territorio limitata. Una prerogativa delle regioni dell'Italia centrale come Emilia Romagna, Umbria, Toscana e, appunto, le Marche. Da qui la necessità che i «sistemi urbani dovrebbero essere governati in modo integrato, come se fossero città - perché sono di fatto città. Ma, innanzitutto, dovrebbero essere identificati e riconosciuti dai decisori pubblici».

Le industrie e la città dispersa
Nel lavoro di Francesca Mazzoni e Antonio Calafati, come dicevamo, sono stati individuati undici sistemi urbani che, in termini di importanza, si differenziano nettamente dagli altri. Sono sistemi che occupano il 36% del territorio marchigiano e dove si concentra il 70% circa dell'attività socio-economica. Sono realtà diverse caratterizzate da uno sviluppo molti differente e che avrà dinamiche altrettanto dissimili. Zone come quelle di Pesaro, Civitanova Marche, Fabriano e Jesi sono strettamente incentrate sul manifatturiero a fronte di altri sistemi con economie maggiormente diversificate. A sud della regione Ascoli e San Benedetto sono comuni centroidi che hanno subito il forte condizionamento della Cassa del Mezzogiorno e oggi vivono una difficile situazione. Un'analisi dalla quale emerge un quadro che disegna una regione tutt'altro che omogenea.
Una regione che nel processo di industrializzazione ha subito, dal punto di vista ambientale, in realtà diverse fratture. Calafati è d'accordo e ricorda «lo straordinario inquinamento delle falde acquifere, lungo la costa, da alcuni decenni oramai largamente inutilizzabili». Si tratta di «una crisi ecologica drammatica risolta solo grazie alla vicinanza degli Appennini, per cui è stato possibile creare un sistema di acquedotti che si approvvigiona alle sorgenti». Altro elemento pesante l'inquinamento atmosferico, molto elevato, e concentrato, ovviamente, nei sistemi urbani, così come altro fenomeno preoccupante è l'erosione del suolo. Dunque il tessuto produttivo ha le sue responsabilità, ma c'è da tenere presente che la vecchia analisi di Foà si calava in un contesto, quello della fine degli anni settanta, nel quale c'era scarsa consapevolezza della gravità dell'impatto ambientale. «Credo - precisa Antonio Calafati - che la metafora si riferisse al fatto che le Marche si sono industrializzate senza una consistente immigrazione dal sud, ma solo sulla base di flussi migratori interni, in effetti senza alcun sconvolgimento sociale». Altro tema cruciale trattato in "Città in nuce nelle Marche" è quello della cosiddetta 'città dispersa'. «Il carattere disperso delle nuove città è una questione importante. Buona parte delle città moderne sono 'disperse', ma la dispersione fa sorgere un difficile problema: la sostenibilità della mobilità al suo interno. Un problema che nelle Marche - in generale in Italia - è stato drammaticamente sottovalutato. Ad esempio, nel sistema intercomunale di Ancona, che comprende circa duecentotrentamila abitanti, settantamila persone prendono giornalmente l'auto per andare al lavoro. E poi ci sono i movimenti in auto per gli acquisti e le attività di socializzazione. E non è un caso che ad Ancona, nei suoi 'punti focali', si hanno livelli di inquinamento atmosferico straordinari. E lo stesso accade nei punti focali dei sistemi locali di Civitanova Marche, San Benedetto e così via. Inoltre, nelle città disperse delle Marche, molti cittadini non hanno garantito il diritto alla mobilità. Anziani o giovanissimi sono limitati nei loro movimenti e da qui nascono fenomeni di segregazione molto forti, che si rafforzeranno».

Puntare sulla campagna urbana
In questa situazione ci sarebbe bisogno di una riqualificazione del territorio partendo dalla considerazione che «i sistemi locali si sono formati per integrazione spaziale e sociale di comuni contigui». Ma nonostante una dinamica di occupazione di suolo piuttosto forte, il territorio dei sistemi non è stato totalmente snaturato e la presenza di quella che Calafati definisce 'campagna urbana', potrebbe costituire una chance. Infatti se si «smettesse di occupare questi interstizi di campagna nei quali la città dispersa è incastonata e li si riqualificasse dal punto di vista ambientale e sociale si avrebbero dei vantaggi notevoli in termini di servizi ecologici e ricreativi (parchi urbani, piste ciclabili, sentieri, aziende agricole scuola e così via). Ma nelle Marche, negli ultimi dieci anni, si è andati nella direzione opposta, con un uso del suolo dissennato, uno sprawl urbano senza logica. Nell'indifferenza generale».
Dunque intercomunalità, riqualificazione, innovazione. Sembrano essere queste le idee guida della proposta di Calafati e Mazzoni.
Ma dal punto di vista della democrazia territoriale l'idea intercomunale non potrebbe andare ad intaccare quella tradizione civica plurisecolare che studiosi come Robert Putnam ( vedi "La tradizione civica nelle regioni italiane") hanno esaltato e ritengono un patrimonio da difendere e valorizzare? «Dal punto di vista della partecipazione democratica - risponde Calafati - si tratterà di trovare le forme opportune, ma non è certo l'ampliamento delle unità politico-amministrative a essere un ostacolo. Del resto, non è che nei piccoli comuni ci sia, oggi, un forte coinvolgimento dei cittadini nelle scelte politiche. Semmai, il contrario. Per la partecipazione democratica vanno definiti nuovi strumenti. Ad esempio, in Italia sottovalutiamo il ruolo della trasparenza delle decisioni pubbliche. Ogni grande intervento di trasformazione urbana è avvolto in una nebbia che non permette di capire la distribuzione dei diritti di proprietà, la distribuzione della rendita, i benefici sociali. Questo è il vero nodo della partecipazione democratica: informazione rilevante e trasparenza delle decisioni pubbliche - ed esercizi di democrazia diretta, quando occorre».

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