CAPITALE & LAVORO

«Basta con la cassa servono soluzioni»

IL PRESIDIO
TORBIDONI GIULIA,

Dentro il palazzo, l'a.d. di Fiat Marchionne sta presentando il suo piano industriale per il marchio torinese. E loro, quelli che fanno il marchio con il proprio lavoro, stanno fuori. Aspettano e protestano. Nonostante pioggia e freddo.
Sono arrivati nella capitale con pullman e treni speciali dal sud Italia - «quello di cui non si parla» - dicono. Bandiere dei sindacati, urla e slogan: «Pomigliano non si tocca», «Termini Imerese non si tocca», «Vergogna».
«Se le cose vanno male, perché dobbiamo andarci di mezzo noi?», dicono alcuni operai. «Mi sapete dire come si fa a stare in cassa integrazione e mantenere una famiglia?». Stefano, Salvatore, Pasquale, Claudio. Sono alcune delle 316 tute blu dello stabilimento Fiat di Nola, in provincia di Napoli. «Siamo in cassa integrazione ordinaria dall'ottobre del 2008. A novembre è scaduta e siamo entrati in cassa integrazione straordinaria, che durerà fino al 30 novembre del 2010». Nei primi mesi di cassa, hanno spiegato gli operai, il lavoro era per due settimane consecutive al mese. Dai primi mesi del 2009 è sceso a una settimana e negli ultimi tempi è arrivano a soli 3 giorni al mese. «Prima c'era il problema di arrivare alla terza settimana. Ora, il mese non inizia per niente. Come si fa con 850 euro, l'affitto, il mutuo e una famiglia?».
A Pomigliano D'Arco si è prodotto per 10 anni - dal 1997 - il modello Alfa 156. «Un'auto che ha venduto molto. Abbiamo lavorato tanto, fatto dei sacrifici e retto l'azienda. E ora, d'un lampo, ci vengono a dire che non siamo efficienti, che non serviamo più, che siamo assenteisti?». Il problema, secondo i lavoratori, è che «non si vuole parlare di Pomigliano. Tutti fanno finta di niente, ma se vi andate a leggere l'accordo che la Fiat aveva fatto per prendersi Opel, lì c'era già scritto che secondo Marchionne devono essere chiusi alcuni stabilimenti, tra cui Pomigliano e Termini».
E a manifestare, infatti, non c'è solo Pomigliano D'Arco. Alcuni operai - 420 - hanno fatto la notte in treno per arrivare a Roma da Termini Imerese. «Il problema ci tocca tutti e siamo tutti uniti» dicono. Secondo Maurizio e Gaspare, lavoratori dell'indotto della Fiat, alla Magneti Marelli di Termini, la delocalizzazione è alla base del problema. «Le auto che vengono vendute di più in Italia, come la 500 e la Panda, sono prodotte altrove. Invece di investire in ricerca e avviare una politica ecologia, si porta la produzione in altri paesi».
E alle proposte di riconversione della produzione gli operai si mostrano scettici. «Ci prendiamo in giro se pensiamo che un altro settore possa essere talmente forte da sostituire quello delle auto. Basta che pensi a quanta pubblicità c'è per le macchine», spiegano Gaspare e Maurizio che, ricordano, «in circa 10 anni siamo venuti a protestare a Roma parecchie volte». Mantenere la produzione di auto in Sicilia è, secondo loro, prioritario per tutta la regione e la sua economia. «L'indotto - sottolineano - è il settore debole. Già nel 2002 ci fu una scrematura: da circa 2000 passammo a essere 800». Quello che chiedono gli operai, quelli accorsi a Roma e quelli che non hanno potuto esserci come i precari che stanno occupando il Comune di Pomigliano, è che «si trovino delle soluzioni, per non buttare in strada le persone che lavorano».
Insieme agli operai ci sono anche gli studenti delle scuole medie superiori e dell'università. Sono i «giovani democratici» di Pomigliano, secondo cui il problema è quello dell'occupazione. «Dobbiamo essere uniti per la causa dei lavoratori e del nostro futuro - dicono Cristina e Antonio - qui in piazza ci sono i nostri stessi familiari, amici o conoscenti. Ci vuole unità del sindacato e delle forze politiche».
In serata arrivano ai manifestanti le prime notizie sulla riunione: Termini non produrrà più auto. E mentre la piazza e i sindacati gridano «Vergogna», Marchionne fa spallucce e dice che «la Fiat è un gruppo privato e il problema sociale di Termini riguarda il governo».
Gianni Rinaldini, segretario generale della Fiom, esprime «un giudizio negativo sul piano Marchionne. Non si può separare il destino di Termini da quello degli altri stabilimenti». Oggi, gli operai di Termini sono di nuovo a casa, di nuovo in assemblea per decidere che fare.

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