CAPITALE & LAVORO

«Non permetteremo a Fiat di andarsene»

IL CRACK - La città di Termini Imerese scende in piazza contro l'ipotesi di dismissione del polo dell'auto
SCIOTTO ANTONIO,INVIATO A TERMINI IMERESE (PALERMO)

Termini Imerese non si mobilitava così dal 2002, quando la Fiat minacciò una prima volta di chiudere: sono passati 7 anni, ma adesso il popolo delle tute blu è tornato in piazza. E gli operai non sono soli: con loro ieri, in corteo dalla stazione a Piazza Duomo, c'era tutta la città, e tanti paesini dei dintorni. Moltissimi studenti, i figli dei lavoratori e non solo, dai liceali ai ragazzini delle medie. E poi i commercianti, gli artigiani, tutti preoccupati perché chi sta in fabbrica non compra più. Ci sono i sindaci di una decina di cittadine - da Trabia a Bagheria - e c'è anche l'arciprete, don Francesco Anfuso, che dal palco, come nel 2002, incita alla lotta, dice di non mollare. «Siamo 10 mila - urla dal microfono Roberto Mastrosimone, già operaio della Fiat e oggi instancabile sindacalista della Fiom - Non permetteremo alla Fiat di andarsene dopo 40 anni: vinceremo anche questa volta, l'importante è stare uniti».
Ma la paura tra i cittadini di questa parte della Sicilia è tanta: sono almeno 2200 gli operai coinvolti direttamente, tra Fiat e indotto. Senza contare le loro famiglie, e tutti gli altri che beneficiano di questi redditi: negozi, bar, ristoranti. «Senza la Fiat qui si crea un buco nero», ci dice una delle tute blu. Alla Clerprem sono in 19, ma da soli fanno le imbottiture dei sedili per tutta la produzione di Termini: la struttura in ferro viene da Melfi, le fodere dalla Polonia e dal Portogallo. Poi il sedile viene assemblato alla Lear, e da lì va in Fiat. «Da soli potremmo bloccare tutta questa filiera - spiegano - Ma se la Fiat chiude, o anche se si riconverte, per noi non ci sarà più nulla».
In corteo c'è anche la Lear, la Ergom, la Bienne Sud. Tutte aziende dell'indotto, alcune colpite già dalla cassa integrazione: l'età media qui è più bassa, non ci sono ammortizzatori sociali, mentre al contrario in Fiat almeno il 60% del personale potrebbe andare in pensione se si ottenesse una mobilità lunga di 7 anni.
«Noi siamo come l'immondizia: dicono che dovremmo riconvertirci, riciclarci - dice amaro un operaio sui 35 anni, della Automotive, gruppo Magneti Marelli (e dunque proprietà Fiat) - Scrivetelo che ci sentiamo come la spazzatura: guardatele quelle ragazze dietro lo striscione, dopo 18 mesi sono state licenziate». Le ragazze fanno parte di un gruppo di 21 operai (15 donne e 6 uomini) cui non è stato confermato il contratto di inserimento alla Automotive: «Siamo noi le prime vittime delle scelte di Marchionne - dice una delle donne - E siamo tutte mamme, molti nostri mariti lavorano in Fiat: ci aspetta un futuro di povertà». Dietro c'è un grosso gruppo di addetti ai servizi, guidato dalla Filcams Cgil: «Sono 150 persone che si occupano della movimentazione dei cassoni, delle pulizie, della mensa - spiegano le segretarie Monica Genovese e Palma Magrì - Qui si parla di riconversione, di rilancio del turismo... ma per avere occupazione si deve investire sulla Fiat, sull'industria». Anche Pippo Di Natale, della Cgil siciliana, è convinto che «la Fiat non può lasciare la nostra Regione: tanti paesi vedono la loro economia legata allo stabilimento».
Ricchissima la presenza degli studenti: sono presenti tutte le scuole cittadine, dall'industriale al classico, allo scientifico e ragioneria. Vincenzo Russo ha 18 anni, quest'anno prende il diploma di geometra: «Mio padre lavora in Fiat da vent'anni - dice - E anche mio zio e mio cognato sono operai lì: la vedo pure io come uno sbocco lavorativo». Vincenzo Lumia è il preside dell'istituto geometri: «I ragazzi non sono qui per caso - ci spiega - Abbiamo fatto un percorso prima di venire: i sindacalisti sono stati due giorni con loro, hanno spiegato come è nata la Fiat, la storia di 40 anni».
Più indietro camminano, molto ordinati in fila, i bimbi della scuola media Tisia di Imera: rarissimo vedere ragazzi così piccoli, e in così gran numero, a una manifestazione operaia, è veramente una scena inedita. Enza Caccioppo è l'insegnante di religione: «Il problema di uno è il problema di tutti - esordisce - E almeno il 20% dei nostri alunni è figlio di operai Fiat. Molti mi hanno detto che avevano difficoltà a comprare i libri. Noi parliamo dei temi di attualità, siamo iscritti ad Amnesty, e si è discusso anche di Termini». Ci sono pure i ragazzi dell'Onda, universitari a Palermo: Giorgio Martinico studia lettere e spiega che gli studenti sono stati anche alle manifestazioni dei cantieri navali di Palermo. Alessandro Buffa, operaio Fincantieri di 30 anni, dice che i cantieri sono falcidiati dalla cassa integrazione, ma aggiunge che a Palermo è più difficile organizzare manifestazioni così belle, perché la città è più grande e perciò indifferente.
Giuseppe Purpi, presidente della Confesercenti, ha un negozio di abbigliamento a Termini: «Molti di noi hanno registrato fino al 50% in meno di fatturato quest'anno; e se si pensa che la metà dei clienti è formato da operai Fiat, il conto è presto fatto. Neanche Natale sembra risollevarci, molti sono già indebitati o hanno chiuso. Ho sentito che le banche stanno rifiutando prestiti e mutui alle tute blu, perché ritengono imminente la chiusura. E fanno difficoltà a prestare anche a noi». «Si rischia di non uscirne più», conferma Santo Inguaggiato, sindaco di Petralia Sottana, in fascia tricolore.
In corteo c'è anche un gruppo di preti e di francescani, e dal palco l'arciprete Anfuso urla: «Dopo 7 anni ci ritroviamo nello stesso posto dove abbiamo condotto e vinto una grande lotta: non demordiamo, sprigioniamo tutte le nostre energie». Il sindaco di Termini Salvatore Burrafato dice che «la Fiat non può chiudere 40 anni di lavoro con un piano industriale: siamo preoccupati ma non rassegnati». Giovanna Marano, Fiom Sicilia, riporta perplessa la notizia dell'interessamento dei cinesi, ieri annunciata dal ministro Scajola: «Ma qui vogliamo risposte chiare, altro che chiacchiere».
Maurizio Landini, Fiom nazionale, parla dopo i segretari locali di Fim e Uilm: chiede al governo «di non essere ambiguo». «Scajola confermi che ritiene una follia la chiusura di Termini. Non è possibile dare incentivi pubblici a un gruppo che chiude le fabbriche. La Fiat produce in Italia solo 600 mila auto, il 30% del venduto: ma ci dica Marchionne dove vuole fare i 5-6 milioni di auto necessari a sopravvivere. Il 22, al prossimo incontro con la Fiat e il governo, chiediamo chiarezza a tutti».

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