INTERNAZIONALE

La transizione infinita della Costa D'Avorio

PICCOLINO GIULIA,ABIDJAN

«Abidjan è dolce» dice una popolare canzone ivoriana. La Costa d'Avorio è ancora ufficialmente in crisi, ma la capitale economica del paese non si arrende e lotta per rinascere. Da sette anni quello che era un tempo uno dei paesi più prosperi e stabili dell'Africa Occidentale è bloccato in un'ambigua situazione di né guerra né pace, che ha diviso in due il paese tra un Sud controllato dal presidente Laurent Gbagbo e un Nord in mano ai ribelli delle Forces Nouvelles. Mai teatro di veri combattimenti ma centro nevralgico del potere ivoriano, Abidjan ha attraversato gli anni di crisi in un'atmosfera di calma irreale, a tratti spezzata da scoppi di violenza improvvisi. Eppure la città continua a mantenere alcuni di quei caratteri che fanno di questa metropoli di grattacieli costruita su una laguna la Manhattan dell'Africa: l'arrivo di una massiccia missione dell'Onu ha risuscitato il mercato di beni di importazione occidentale; i locali notturni dove si ballano lo zouglou e il coupé décalé, due ritmi popolari tra i giovani ivoriani, continuano a traboccare di gente; si annunciano ambiziosi piani di rinnovo urbanistico, incluso il restauro di quell'Hotel Ivoire che nel 2004 fu teatro degli scontri tra militari francesi e Giovani Patrioti, i militanti ultranazionalisti vicini al presidente Gbagbo.
Questa città schizofrenica, dove la comunità degli expatriés e la sempre più sottile minoranza ricca conducono una vita totalmente separata da quella della maggioranza dei poveri che faticano a fare un pasto al giorno, ha voglia di pace. Ma sulla crisi ivoriana continua a pesare un'incognita: cosa avverrà quando, dopo quasi dieci anni di ininterrotto regno del coriaceo presidente Gbagbo, il paese tornerà alle urne? Se il presidente dovesse essere rieletto, i ribelli accetteranno passivamente la vittoria di un uomo che uno dei loro comandanti ha paragonato al famigerato signore della guerra liberiano Charles Taylor? E se Gbagbo dovesse perdere le elezioni, quale sarà invece la reazione delle milizie lealiste e dei Giovani Patrioti?
Ufficialmente le elezioni dovevano avere luogo la settimana prossima, il 29 novembre. Ma sono state nuovamente rimandate. La prima volta era avvenuto con l'Accordo di Pretoria, uno dei tanti trattati di pace firmato e non rispettato dai belligeranti ivoriani: secondo Pretoria le elezioni avrebbero dovuto avere luogo il 10 Ottobre del 2005. È da allora che la data delle consultazioni elettorali viene periodicamente fissata e spostata.
Anche se l'Accordo di Ougadougou del 2007, il primo sottoscritto spontaneamente dai belligeranti senza pressioni esterne, ha fatto fare enormi passi avanti sulla via della pace e della normalizzazione, la tabella di marcia ha continuato ad essere puntualmente violata. Da una parte, né Gbagbo né le Forces Nouvelles hanno interesse ad andare in fretta alle urne. La formula transitoria adottata con Ouagadougou infatti lascia Gbagbo alla presidenza e attribuisce a Guillaume Soro, il giovane leader dell'ala politica delle Forces Nouvelles, il posto di primo ministro. Il presidente ritiene di avere tutto il diritto di portare a termine un secondo mandato, per il quale non è stato eletto, a causa della passata situazione di emergenza. Soro non può presentarsi candidato alle prossime elezioni, anche se ha l'interesse a far andare a buon fine il processo di pace, dato che da questo dipende il suo avvenire politico. Nell'elefantiaco (32 ministri) governo di transizione anche l'opposizione civile, l'attore che avrebbe più interesse a sfidare Gbagbo alle urne, riceve una fetta della torta sufficiente a moderare le sue insistenze.
Sulla dilatazione dei tempi ha pesato la scelta, giudicata necessaria per dare a tutte le parti le necessarie garanzie di correttezza e neutralità, di attribuire a quattro enti diversi un ruolo nell'organizzazione del voto. Alla Commissione elettorale indipendente sono stati affiancati l'Ufficio nazionale di identificazione, l'Istituto nazionale di statistica e l'impresa francese Sagem, che ha vinto l'appalto per la produzione di sofisticate tessere elettorali.
Il problema dell'attribuzione della cittadinanza e del diritto di voto è al cuore della crisi ivoriana e perciò sorprende poco che il processo di identificazione sia stato lungo e complesso: sorprende di più l'irrealistica previsione degli accordi di pace di un tempo di un mese e mezzo per concludere l'identificazione di una decina di milioni di elettori. Di fatto il processo di identificazione è durato nove mesi. Alla sua conclusione il 1° ottobre scorso è emersa l'esistenza di più di 2.700.000 persone la cui identità non ha potuto essere verificata attraverso il confronto con i registri precedenti dello Stato ivoriano. Sebbene una parte sia stata «ripescata» attraverso un riesame dei dati, restano ancora circa un milione di elettori «introvabili». Impostori stranieri, come sospettano gli ultranazionalisti, o semplicemente ivoriani che, per il fatto di risiedere in zone rurali isolate, non hanno mai posseduto documenti? Finché una soluzione, che in parte dovrà essere politica, non sarà trovata, la lista elettorale provvisoria non potrà essere pubblicata e il processo elettorale non potrà avanzare.
E intanto quelle ivoriane, oltre a essere le elezioni più rimandate del mondo, rischiano anche di diventare le elezioni più costose del mondo. Secondo una stima del Programma delle Nazioni unite per lo sviluppo (Undp), mentre il costo medio di un elezione in Europa e Nord America non supera i tre dollari per elettore, le elezioni ivoriane potrebbero arrivare a 66 dollari per elettore, surclassando anche le costosissime elezioni congolesi di tre anni fa. Uno scandalo in un paese dove la crisi politica ha fatto precipitare gli indici di sviluppo umano ed esplodere la povertà e dove molti servizi pubblici essenziali, come l'istruzione, funzionano in modo discontinuo e caotico.
Anche gli altri aspetti del cosiddetto «processo di uscita dalla crisi» faticano a decollare. A Bouaké, seconda città della Costa d'Avorio diventata negli anni della divisione la capitale delle Forces Nouvelles, l'edificio della prefettura è stato riverniciato e i rappresentanti dello stato sono tornati alle scrivanie. Anche il tribunale ha riaperto i battenti. Ma il potere reale appartiene ancora al commandant de zone delle Forces Nouvelles Chérif Ousmane, i cui uomini, per il momento non minacciosi ma armati di kalashnikov, continuano a presidiare le strade.
«Ci siamo dovuti rassegnare al fatto che non ci sarà mai nessun disarmo, né delle Forces Nouvelles né delle milizie lealiste, prima delle elezioni. Né potrà essere realmente operativo il Centro di Comando Integrato », confessa il direttore dell'Undp in Costa d'Avorio André Carvalho. E Hamadoun Touré, il portavoce della missione di peacekeeping delle Nazioni Unite Onuci, conferma implicitamente le parole di Carvalho quando afferma che «il nostro compito è creare un clima in cui l'uso delle armi diventerà inutile».
Business as usual allora, in un paese dove sono stati sottoscritti e non rispettati almeno tre accordi di pace prima di Ouagadougou? Sì, ma anche no. «Non è più possibile tornare indietro: troppi passi in avanti sono stati fatti», afferma Touré. E stavolta non è solo la retorica di un diplomatico. Per la prima volta dallo scoppio della crisi la Costa d'Avorio ha una lista elettorale, ancora provvisoria ma compilata secondo criteri di accuratezza e trasparenza. Viaggiare tra il Sud e il Nord non è più l'impresa impossibile di pochi anni fa. I giovani patrioti continuano a minacciare le organizzazioni della società civile come la Lega Ivoriana dei Diritti dell'Uomo e a compiere atti di teppismo contro le sedi dell'opposizione. Ma il loro leader Charles Blé Goudé, un hardliner che ama firmarsi «il sanzionato dell'Onu» con riferimento ai provvedimenti presi dalle Nazioni unite tre anni fa contro di lui, ha appena pubblicato un libro in cui definisce l'accordo di Ouagadougou «il rimedio più appropriato e più efficace per guarire una Costa d'Avorio da tempo malata». In una recente intervista al settimanale Jeune Afrique perfino il comandante Ousmane dichiara che la sua nuova battaglia è trovare una ricollocazione nella società ai suoi soldati.
La pace, insomma, potrebbe nonostante tutto essere vicina. Non sarà forse la pace che tutti vorrebbero: non sarà una pace che metterà fine alla corruzione e all'autoritarismo dello stato ivoriano e sarà una pace che lascerà alcuni problemi irrisolti, come l'inquietante fenomeno dei coupeurs de route, ex combattenti diventati banditi che aggrediscono e rapinano i viaggiatori sulle strade della Costa d'Avorio. Ma sarà l'unica pace a cui è possibile realisticamente aspirare.

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it