CULTURA & VISIONI

PAGINE cinesi

UNA GALASSIA DI MONDI PARALLELI E INCOMUNICANTI
PESARO NICOLETTA,

Un antico apologo buddhista racconta di un re che interpellò alcuni ciechi sulle sembianze di un elefante; i ciechi toccarono allora il pachiderma e ciascuno diede al re la sua risposta: ci fu chi disse che l'elefante assomiglia a una giara, chi lo paragonò a un pestello, chi a una pala, chi ancora lo descrisse come una lunga carota. Infatti, ognuno aveva toccato solo una parte del corpo dell'animale, il ventre, la proboscide, l'orecchio o una zanna. Di fronte alla Cina e alla sua letteratura ci troviamo spesso anche noi nella condizione di quei ciechi, poiché ne cogliamo, necessariamente, solo l'aspetto o gli aspetti con i quali siamo venuti a contatto o che i media ci trasmettono, guidati in genere dalla pressione degli eventi e dalle tendenze globali del momento.
La rapidità dello sviluppo economico-sociale del paese (le cui origini risalgono all'avvio delle riforme di Deng Xiaoping, nel 1978) ha comportato rivolgimenti e stravolgimenti non effimeri anche nel sistema letterario, che da circuito chiuso e per lo più autoreferenziale, si è gradualmente trasformato in una macchina di produzione culturale complessa e articolata, dove riecheggiano elementi dell'antica tradizione, ma si riflettono soprattutto il «grande balzo in avanti» tecnologico e l'aggressivo affermarsi della società dei consumi nella Cina del XXI secolo.

I frutti di una precisa strategia
Del resto, la letteratura cinese contemporanea è una spugna che assorbe le mille contraddizioni di un paese tornato oggi a puntare su quella centralità nel mondo che fin dalle origini è intrinseca al suo nome Zhongguo (Regno di Mezzo) e sulla sua vocazione millenaria al predominio. Un predominio in passato soprattutto culturale (si pensi alla diffusione dei valori e del pensiero cinese in Asia Orientale, oltre che a quella della sua scrittura), fondato oggi principalmente su una base economica che vorrebbe essere anche politica.
La penetrazione della lingua cinese nel mondo (con la proliferazione di corsi universitari e non e la fondazione di numerosi Istituti Confucio un po' ovunque) è frutto di una precisa strategia nella politica culturale di Pechino, e la dignità riconquistata passa ora anche per il prestigio che la letteratura (oltre alla scienza, alla tecnologia e allo sport) può restituire alla Cina: da qui il malcelato scontento per il Nobel del 2000, assegnato a Gao Xingjian, uno scrittore cinese sì, ma dissidente e da anni trasferito in Francia; da qui le dimensioni della partecipazione alla Fiera del Libro di Francoforte degli scrittori ed editori cinesi: uno sforzo tutto mirato alla conquista del mercato (ma anche del cuore) occidentale. In questa strategia combinata di mercato e nazionalismo culturale, nel meccanismo economico rivolto a presentare la Cina come grande produttrice di cultura oltre che di magliette e oggetti hightech, gli scrittori e le opere letterarie rischiano di apparire come strumenti finalizzati a una volontà propagandistica ed egemonica: basterebbe a testimoniarlo la grandiosa operazione editoriale che ha decretato il successo mondiale del Totem del lupo di Jiang Rong. In realtà, se ci limitassimo a quanto ci deriva da un simile esempio, daremmo una lettura parziale del fenomeno, come quella dei ciechi dell'aneddoto.
La vivacità della letteratura cinese di oggi - con tutte le sue metamorfosi, da strumento di battaglia politica a oggetto del desiderio consumistico - si può e si deve invece cogliere nella rappresentazione (benché parziale) che ne ha offerto la Fiera di Francoforte attraverso un colorato ventaglio di scrittori, con le loro storie e personalità individuali.
«Scrivo quindi esisto», così Gao Xingjian, ospite della Buchmesse, ha sintetizzato il senso della sua attività, collocandola in una dimensione esistenziale di espressione soggettiva, che rifugge da ogni forma di controllo, sia esso politico o commerciale. Il noto scrittore, autore teatrale e pittore, da vent'anni esule a Parigi, protagonista di un affollatissimo colloquio insieme a Yang Lian (poeta dissidente che vive a Londra), è andato dritto al cuore delle recenti polemiche, animando uno dei numerosi appuntamenti organizzati dalla Fiera intorno al suo ospite d'onore, la Cina. Ma quale Cina? Quella che si è potuta avvicinare, percepire, ammirare o criticare a Francoforte ha esibito una pluralità davvero eterogenea di voci e di mondi, sebbene non tutte le istanze siano state rappresentate: com'è noto, infatti, aspre critiche agli organizzatori ha suscitato l'assenza di attivisti politici e ambientalisti come Dai Jin o di scrittori irriverenti come Yan Lianke, sui quali come una scure è caduto il veto del governo cinese. E, di certo, ancora una volta il mondo occidentale ha piegato il capo di fronte alle pressioni del colosso cinese, sperando comunque che il dialogo e il compromesso si rivelino più fruttuosi dello scontro e dell'intransigenza. Non molto si è visto, poi, della letteratura indirizzata al mercato interno, fatta di romanzi sulla corruzione, o sui drammi nelle miniere, gialli e fantasy per adolescenti scritti da adolescenti.
Nondimeno, visitando il salone del libro più importante del mondo e cercando di seguire la miriade di appuntamenti legati al grande paese asiatico, ci si è accorti che l'immagine proiettata non coincide affatto con quella univoca e rassicurante che le autorità cinesi vorrebbero affidare alle grandi occasioni e vetrine mondiali (come alle Olimpiadi di Pechino nel 2008 o, prossimamente, all'Expo di Shanghai 2010). L'atteggiamento degli scrittori presenti di persona o con i loro libri ed editori è ovviamente tutt'altro che monocorde, e va a formare una sinfonia dalle sfumature sottili, spesso percepibile solo in filigrana: dalla fantasiosa ironia di Mo Yan (Einaudi ha di recente pubblicato la traduzione del suo ultimo romanzo, Le sei reincarnazioni di Ximen Nao), alla sferzante condanna di Harry Wu, vittima e testimone delle violenze nelle carceri cinesi, che ha accusato l'organizzazione della Buchmesse di essersi rivelata troppo filocinese.
Alla fiera, la percezione fisica, spaziale di questa pluralità e separatezza talora irriducibile, veniva incontro al visitatore fin dalla collocazione dei vari stand: la Cina popolare ospite nel grandioso Forum, il padiglione di Taiwan, lo stand improntato al cosmopolitismo di Hong Kong, gli scrittori esuli accolti nell'International Center, la minuscola postazione di Singapore, oltre a un pugno di scrittori presenti presso lo stand del loro editore straniero, come Ma Jian.

Il catalogo di tutte le anime
Questi mondi paralleli, seppur vicini, per lo più ignorandosi reciprocamente testimoniano una plurivocità interessante e promettente sotto molti aspetti, che li interroga e ci interroga sulla definizione di letteratura cinese, ma anche sull'identità stessa cinese.
È cinese Yu Hua, che intervistato dalla televisione tedesca scherza sulla presenza di funzionari del partito alla Fiera, e dichiara che il grottesco, il volgare, il paradosso, ingredienti della sua ultima fatica narrativa in due volumi, Brothers e Arricchirsi è glorioso (entrambi pubblicati da Feltrinelli) dipingono schiettamente (e quindi con una prospettiva critica) la Cina di oggi. È cinese Zhang Dachun, istrionico scrittore taiwanese, che in una lezione di calligrafia tenuta in inglese ha spiegato attraverso il carattere shu di libro come i caratteri siano stratificazioni di significati diversi rappresentati talvolta a livello di singolo tratto, a riprova della ricchezza e complessità linguistica e culturale implicita in un testo cinese.
Ma, a dispetto di una radicata e in fondo legittima convinzione, neppure la millenaria scrittura, unica nel suo genere, sembra essere esclusivo elemento fondante l'identità cinese: perché è sicuramente cinese anche Gao Xingjian, che scrive da anni in francese i suoi testi teatrali, ma rivendica il diritto a un'orgogliosa libertà di pensiero profondamente radicata (ancorché osteggiata) nella storia intellettuale cinese e inserisce miti e tradizioni cinesi antichissimi nella sua personale rilettura del teatro totale.
A sollevare la questione della lingua cinese è stato anche il sinologo tedesco Wolfgang Kubin, che la interpreta come limite di cui sarebbero ostaggi gli scrittori della Cina popolare; incline alle provocazioni (nel 2006 ha definito parte della letteratura cinese contemporanea «spazzatura»), secondo lui gli scrittori cinesi della Repubblica popolare, non conoscendo, a differenza dei loro grandi predecessori del Novecento (come Lu Xun e Lao She), altre lingue oltre al mandarino, mancano di quello spirito e di quella raffinatezza che vengono a ciascuna opera letteraria dal confronto e dallo scambio interlinguistico e interculturale.
La risposta è giunta da Liu Zhenyun, a Francoforte per presentare la traduzione del suo ultimo romanzo, Il mio nome è Liu Yuejin (Ladri di borse nella versione tedesca). Con l'umorismo distaccato che lo contraddistingue ha ricordato che nemmeno Confucio parlava inglese, e che, se certamente conoscere lingue e autori di altri paesi è prezioso per uno scrittore, non basta a determinare una discriminante in termini di qualità letteraria.
Sono cinesi seppure lontanissime per epoca e stile, Zhang Ailing (morta nel 1995), Chen Ran e Annie Baby: Zhang Ailing, le cui opere figuravano nello stand di Hong Kong (città in cui abitò per alcuni anni e a cui dedicò il bel romanzo Amore in una città caduta), è una delle voci più importanti della letteratura cinese moderna, anche se ha vissuto lunga parte della sua esistenza negli Stati Uniti, dov'è nota come Eileen Chang; mentre Chen Ran, autrice del romanzo Vita privata, è un'esponente della nüxing xiezuo (scrittura femminile), fatta di sensazioni ed emozioni narrate da un punto di vista rigorosamente femminile; quanto a Annie Baby, è una trentenne del Zhejiang, nota al pubblico cinese per l'ostentato erotismo dei suoi romanzi-scandalo che un critico ha definito un' «anatomia della scrittrice».
È decisamente cinese, infine, anche il giovane Hou Xiaoqiang, presente alla Fiera come protagonista di un fortunato business che mescola libertà creativa e affari: a trentaquattro anni è l'amministratore delegato di Shanda literature, rampante azienda cinese proprietaria di tre popolarissimi siti di letteratura on-line, che pubblicano senza alcun controllo o censura l'equivalente di migliaia di libri al giorno, postati per lo più da giovanissimi internauti, con un altrettanto giovane e vasto bacino di lettori. E ci sarebbe molto da dire anche sulla cosiddetta shouji xiaoshuo la «narrativa da telefonino», una rete evanescente ma enorme fatta di messaggi, un corpus letterario creato, trasmesso e conservato in milioni di cellulari personali: qui, individuo e tecnologia si ritrovano coniugati nella rappresentazione postmoderna e frammentata dell'Io cinese che sfugge facilmente a ogni grande fratello.

E poi c'è la maggioranza silenziosa
Insomma, la babele cinese ci impone una particolare attenzione a tutte le varietà culturali e linguistiche, alle coordinate geografiche, ai formati in cui è attualmente declinata: la circolazione delle idee, la libertà d'espressione non sono confinate in modelli precostituiti. Se la parola letteraria è ancora sensibile alla politica (costringendo gli autori in madrepatria a equilibrismi e obliquità continui), la moltiplicazione dei canali e delle forme in cui essa si incarna e diffonde complica l'immagine della Cina ai nostri occhi, obbligandoci a decodificare e sfrondare i messaggi espliciti che ce ne vengono da ambiguità e doppi fini di colore opposto. La libertà di parola evocata anche dalla cancelliera Merkel all'apertura della Buchmesse non conduce sempre agli approdi più prevedibili: la letteratura cinese ci appare oggi animata da stimoli discordanti e complementari, non ultimo la grande risorsa umana e sociale con la quale deve e cerca di interagire. Consapevole di ciò, Wang Xiaobo, autore cult morto nel 1997, scriveva: «La tradizione cinese è uno specchio, la cultura occidentale è un altro specchio. Ma poi c'è accanto a noi un altro grande specchio: la maggioranza silenziosa».

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