LETTERE E COMMENTI

Germania, un voto che spacca

BOLOGNA SERGIO,

Le elezioni tedesche sono state archiviate in fretta, il coro dei pappagalli ha strillato «ancora una volta ha vinto la destra» e ci si è occupati di nuovo di badanti. Eppure un minimo di riflessione il paese con il quale il nostro intrattiene i maggiori rapporti commerciali lo meriterebbe. In queste elezioni è accaduto qualcosa che non si era mai visto dalla fine della guerra e cioè che il 22,6% degli elettori, più di un quinto dei votanti, si è espresso per dei partiti che non credo si possano così disinvoltamente definire di destra, intendo la Linke e i Verdi, possiamo in parte definirli anticapitalisti, o no? I loro analoghi, in Italia, sono spariti dal parlamento alle ultime elezioni. E poi c'è il 2% preso dal Pirate partei, emanazione del Caos computer club, che ha come programma la modifica della legge sul copyright e la protezione dei dati personali (il suo analogo in Svezia ha preso il 7,1%).
Quindi mi si conceda almeno che è stato un voto contraddittorio, che ha spaccato il paese ed ha per la prima volta creato un clima d'instabilità. Se n'è accorto Sergio Romano su Il Corriere, perché dobbiamo far finta di niente noi? Questo è il primo voto europeo dove c'è un segno indelebile lasciato dalla crisi. La Germania è una delle grandi potenze economiche mondiali, fino al luglio scorso il primo paese esportatore del mondo, dove però circa 6 milioni e mezzo di persone, secondo i dati dell'Istituto per il lavoro e la tecnica di Gelsenkirchen (Iat), ampiamente ripresi dai media durante la campagna elettorale, vivono con salari al di sotto della soglia di povertà fissata dall'Ocse. Gente che lavora, non disoccupati, come quel signore di 58 anni intervistato dallo Spiegel e messo su un video on line che fa il guardiano in un grande centro logistico e guadagna 4,22 euro l'ora e deve farsi 50 km due volte al giorno per andare e tornare dal luogo di lavoro. C'è stato un dibattito sul salario minimo in campagna elettorale, la Spd ci stava, ma la gente ricorda che sono stati i governi socialdemocratici a ridimensionare il sistema dei sussidi alla disoccupazione, sul terreno della difesa dei più deboli hanno perso credibilità da un pezzo.
Un anno fa un'inchiesta televisiva sui giovani medici tedeschi aveva rivelato che il loro reddito medio è di 1.500 euro al mese, li avevano intervistati in un aeroporto dove pigliavano Ryanair per andare a fare i turni di notte nel week end in ospedali e cliniche inglesi, tanto per arrotondare. Ci sono 3 milioni 346 mila disoccupati, l'8% della popolazione attiva (dati aggiornati a settembre). Che senso ha allora votare Westerwelle, perché votare liberale? Un momento, lo ha votato il 15% degli elettori, mica il 50. E poi dobbiamo metterci in testa che vent'anni di martellamento contro lo «stato sociale», vent'anni di rappresentazione negativa del welfare state e di reale suo ridimensionamento hanno ormai anche in Europa, nelle nuove generazioni soprattutto, creato lo stesso senso di diffidenza verso il sistema pubblico che giustamente Portelli metteva in luce su questo giornale, quando cercava di spiegare l'opposizione «dal basso», dalla società civile, alla riforma sanitaria di Obama. La corruzione e il degrado della politica alimentano un senso di sfiducia nel sistema pubblico, nella pubblica amministrazione, che va nella direzione dei liberali e quindi può votarli anche il giovane medico a 1.500 euro al mese, esasperato perché la riforma sanitaria della Merkel gli fissa un tetto di spesa sui farmaci che prescrive.
Occorre poi tenere presente il peso del settore pubblico nell'economia in Germania. Per una scelta strategica hanno deciso di potenziare al massimo il settore della logistica e dei trasporti, con 2,7 milioni di occupati è il terzo settore in ordine d'importanza, dopo il commercio e l'auto. Lo Stato ha investito risorse enormi nella Deutsche Bahn, nella Deustche Post, nella Lufthansa, nei porti, per portarli in testa alle classifiche europee e mondiali. Hsh Nordbank, specializzata nello shipping, la prima a chiedere aiuto allo Stato per evitare la bancarotta dopo l'ottobre 2008, è una banca pubblica, metà del Land di Amburgo e metà dello Schleswig Holstein. Hapag Lloyd, quinta compagnia marittima mondiale, perde soldi e viene messa in vendita dall'azionista di maggioranza, il colosso del turismo Tui, si fanno avanti i cinesi, pressioni del sindacato, orgoglio nazionale, si forma un consorzio tedesco per rilevarla, scoppia la crisi, gli investitori si squagliano, la patata bollente passa al Land di Amburgo e allo Stato, il contribuente paga. La proverbiale moralità tedesca negli affari scade sempre più e i manager pubblici sembrano peggio degli altri, il capo della Deutsche Bahn viene cacciato perché spia i dipendenti, quello della Deutsche Post perché evade le tasse. In questo clima perché uno che dice «non fidatevi dell'impresa pubblica» non dovrebbe poter raccogliere consensi?
L'astensione è stata la più alta nella storia della Repubblica Federale, si è incrinato il rapporto di fiducia con le istituzioni. È stupido, miope, liquidare quel che è successo in Germania con la formula «ha vinto ancora la destra», forse è successo qualcosa di peggio, non lo sappiamo, se fosse così dobbiamo ammettere che il peggio stava avanzando da anni e la Spd ha avuto una parte importante in questo peggio, se ha perso se lo meritava, come tutti i finti socialisti che circolano per l'Europa, da Segolène a Zapatero.
Ma proprio tra quelli che non hanno votato forse ci sono persone che più si spendono nella vita quotidiana per tenere insieme dei legami sociali o per tener viva la protesta e l'antagonismo, come da noi, dove molte forme di impegno e di militanza vengono da culture e comportamenti che rifiutano il gioco elettorale e lo considerano un teatrino dei pupi. L'equazione astensionista uguale qualunquista ormai appartiene all'armamentario della sinistra che tramonta, purtroppo non così in fretta come sarebbe auspicabile, visto che la sua inettitudine, il suo opportunismo sono la migliore garanzia di vittoria di tutte le multiformi maschere che assume il pensiero conservatore e antidemocratico.
La crisi ha spazzato le mediazioni, l'epoca postfordista si è chiusa con una distruzione di ricchezza senza precedenti, la vittima più illustre è forse l'idea di bene pubblico. Per resuscitarla ci sono due modi, uno fallimentare, quello dei movimenti giustizialisti che agitano la bandiera dei «diritti» e un altro, vincente, che comincia a tirare la coperta da questa parte.

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