LETTERE E COMMENTI

Regolarizzazioni: badanti poche, operai zero

PUGLIESE ENRICO,

Il numero di domande di regolarizzazione avanzate dai datori di lavoro (famiglie ma anche conventi e quant'altro, come notava l'altro giorno l'Avvenire) è risultato essere molto più modesto del previsto: siamo, come è noto, a circa 300 mila. Le previsoni, naturalmente esagerate come capita sempre in questi casi, erano di 700-750 mila. Cos'è sucesso dunque? Nulla che non fosse prevedibile e che non sia stato già detto, con tono sorpreso, dalla grande stampa. I datori di lavoro, nella fattispecie le famiglie, hanno ritenuto poco utile, poco conveniente o poco opportuno perdere tempo e soldi per le pratiche di regolarizzazione. Non ce ne è bsogno.
Eppure la cosa cosa contrasta con quello che è avvenuto meno di sette anni addietro, con la sanatoria collegata alla legge Bossi- Fini: la più grande della storia delle migrazioni europee, la «madre di tutte le sanatorie». A quell'epoca la Lega, Alleanza nazionale e Forza Italia si resero conto che proprio la loro base elettorale moderata (famiglie borghesi e imprenditori) volevano - per comodità e in qualche caso anche per senso civico e responsabilità, ma soprattutto per paura di serie sanzioni - fare uscire dalla irregolarità i loro (e le loro) dipendenti. Anche a quell'epoca la sanatoria era stata pensata originariamente solo per le «badanti»: anzi è da allora che cominciò a circolare questo termine.
Ma poi la Confindustria insistette. Le aziende avevano bisogno di operai in una fase di crescita occupazionale e di relativa dinamica della domanda di lavoro. Era poi viva l'eco delle minacce di sanzioni per chi impiegasse forza lavoro irregolare (o clandestina, come si usa dire). E questo spingeva ulteriormente in direzione della regolarizzazione.
Così, tra una cosa e l'altra - dopo file infinite, non fatte (come da norma di legge) dai padroni bensì dagli immigrati medesimi - si riuscì a fare uscire dalla irregolarità qualcosa come settecentomila persone, che non avevano più necessità di nascondersi, che erano meno soggette ai ricatti dei padroni e alle discriminazioni istituzionali, che potevano inserirsi meglio nella società italiana (anche se ci pensava la Bossi-Fini con una serie di norme vessatorie a rendere più difficile e grama la loro esistenza).
Ora il clima è drasticamente mutato non solo a livello politico e istituzionale, ma anche nella società. Alla mobilitazione di allora delle famiglie per stare in regola con la legge - o per solidarietà per le loro Sonie, Tamare o Imelde - corrisponde ora il montare della palude delle famiglie-carogne che non hanno alcuna voglia di procedere alla regolarizzazione della loro badante occupata al nero. Sanno che da questo governo, quali che siano le leggi, non hanno nulla da temere (anche quando ci sono sentenze della magistratura a difesa della badante).
Ma poi anche le famiglie che carogne non sono trovano ben più difficile di allora portare avanti le richieste di regolarizzazione: la documentazione è eccessiva e in parte impraticabile, il livello di reddito richiesto è troppo alto e non tutti amano dimostare di essere benestanti. La normativa sembra (o è) fatta apposta per scoraggiare le domande. E il balzello imposto ai poveri (i soldi che in realtà dovrebero pagare i padroni) denunciato da Valentino Parlato («La badante degli evasori» il manifesto 1/10) è un'ennesima odiosa pratica vessatoria che concorre a disincentivare.
Il risultato è che aumenterà significativamente il numero degli irregolari e delle irregolari. E tuttavia sono soprattutto i primi - gli uomini che lavorano nell'agricoltura, nell'edilizia e nelle fabbriche - a pagare il costo di questa situazione: in pratica a pagare il costo della crisi. Da parte delle associazioni padronali questa volta non c'è stata nessuna pressione in direzione delle regolarizzazioni. Non avrebbero nulla in contrario ma hanno altri problemi per la testa: ad esempio quello dei licenziamenti dei dipendenti, immigrati compresi. I giornali hanno parlato solo delle badanti, di chi ha trovato ostacoli nel processo di regolarizzazione.
Scarsa o nulla è stata l'attenzione per i lavoratori non addetti ai servizi alla persona: per chi non ha avuto alcuna prospettiva di regolarizzazione. Per loro di sanatoria non si parola affatto. È questo l'aspetto più grave della vicenda e spiega anche il gran numero di quelli che mancano all'appello.

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