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Le Americhe Latine viste da Daverio

MOSTRE
CARNEVALE ROSA,

Difficile rinchiudere l'arte contemporanea latinoamericana nelle strette sale espositive dello Spazio Oberdan milanese. Eclettica, ribelle, imprendibile, l'arte delle Americhe del Sud è sfuggita anche questa volta ad un qualsivoglia tentativo di catalogazione. Come indica il titolo stesso della mostra «Las Americas Latinas. Las fatigas del querer», lo sguardo su questo vastissimo universo offre un panorama multiplo e complesso in cui si possono individuare al massimo alcuni nuclei tematici chiave. «Non esiste una America Latina, ve ne sono tante, così dissimili nella loro evoluzione da fare del continente intero il primo esperimento d'un curioso barocco postmoderno», afferma Philippe Daverio, curatore della mostra con Elena Agudio e Jean Blanchaert. L'unico tentativo di tenere insieme i pezzi di puzzle è fatto dall'artista argentina Alejandra Mettler. La sua grande bandiera multicolore con la scritta «Estamos Unidos» è stata infatti cucita all'uncinetto con le donne del Nord dell'Argentina, lì dove le Ande fanno incontrare, gli uni incastrati negli altri, Perù, Bolivia, Brasile, Paraguay, Argentina e Cile. «Estamos Unidos» diventa un imperativo, un'invocazione necessaria in questa narrazione (fin troppo personale) di Philippe Daverio. La mostra è infatti un garbuglio di stili ed esiti differenti, disomogenea e difficile da seguire. Personaggi di spicco vengono liquidati con brutti lavori che mal li rappresentano (per esempio Ernesto Neto, o la cubana Ana Mendieta). Alto e basso si mescolano in un pastiche che vede fianco a fianco opere di artigianato di artisti per lo più sconosciuti e star come la cubana Tania Bruguera. I lavori di Alessandro Kokocinski (di origini tutt'altro che sudamericane), amico di Daverio, tornano fin troppo insistentemente. Si sarebbe potuto sicuramente dare spazio ad artisti più importanti, invece dimenticati (basti citare l'argentino Leon Ferrari, vincitore del Leone d'Oro alla Biennale del 2007). Tra i lavori che convincono di più sono da segnalare la cassettiera in legno a forma di bomba a mano del trio Los Carpenteros, un mobile «adatto a contenere il guardaroba di qualsiasi rivoluzionario dandy», come nota Blanchaert e il volto del Che delineato da una zuppa di fagioli del fotografo Vik Muniz, che unisce due icone diversamente americane, la warholiana zuppa Campbell's e l'icona sudamericana. Il resto è un approssimativo resoconto di viaggio che non entusiasma e non riesce a dare conto del caleidoscopico universo latinoamericano. Lo stesso Daverio ammette: «In tutti questi anni non ho capito cos'è l'America Latina». Sicuramente più esaustivi saranno gli incontri con gli scrittori sudamericani e la rassegna cinematografica che accompagna la mostra.

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