LETTERE E COMMENTI

Un comunista eretico

La morte di Michele Romito
RIVERA ANNAMARIA

La notte del 30 agosto Michele Romito ci ha lasciati. Lo scugnizzo quindicenne di Bari vecchia, che il 9 settembre del 1943, guidando un gruppo di coetanei, arrestò a colpi di bombe a mano la colonna dell'esercito nazista che si apprestava a distruggere il borgo antico e il porto, è morto a 81 anni in un letto d'ospedale, povero com'era sempre vissuto. È soprattutto per merito del suo atto di coraggio che la città di Bari ha ottenuto, tre anni fa, la medaglia d'oro al valor civile. Solo in extremis le autorità cittadine, pronte a esibirlo come fiore all'occhiello in ogni commemorazione antifascista, si erano ricordate delle sue condizioni d'indigenza, dignitosa quanto estrema, gratificandolo di una piccola somma e di una visita del sindaco.
Dopo aver lavorato come portuale, poi come guardiano, Michele viveva, infatti, di una misera pensione sociale, in un basso della città vecchia, con la sorella anziana e malata come lui. Di famiglia comunista, Michele Romito è rimasto comunista per l'intera sua vita. Un comunista eretico: agli albori degli anni '70 si unì al Circolo Lenin di Puglia, il gruppo più importante della nuova sinistra pugliese, il più legato alla storia locale delle lotte bracciantili e operaie, il più capace di sollecitare conflitti e movimenti a partire da una conoscenza profonda della realtà pugliese.
L'avevamo rivisto, Michele, il 27 giugno scorso in occasione di una splendida serata per il quarantennale della nascita del Circolo Lenin di Puglia, affollata di ex tutt'altro che reduci. Malgrado le pessime condizioni di salute, aveva voluto partecipare a quell'incontro e rassicurarci che «non è finita, compagni, se ci sono anch'io». Adesso che non c'è più sarà ancor più dura.
Annamaria Rivera

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