POLITICA & SOCIETÀ

La fabbrica di Lambrate e il piano casa lombardo. Una singolare coincidenza

COMMENTO
BERDINI PAOLO,

Non poteva esserci più singolare coincidenza nella vicenda della Innse, la storica fabbrica meccanica milanese della quasi contemporanea approvazione da parte della regione Lombardia del cosiddetto piano casa. Nella vicenda da una parte ci sono persone in carne ed ossa che tentano di difendere il proprio lavoro, il proprio sapere, la propria dignità. Dall'altra parte il proprietario, uno dei tanti esponenti della "classe dirigente" cui sarebbero affidati i destini del futuro dell'Italia. Anzi, un esponente molto rappresentativo, poiché ha venduto alla chetichella i macchinari e ora vuol farci una delle infinite speculazioni immobiliari cui siamo abituati in questi anni di delirio del cemento.
Ma nella vicenda c'è anche il "potere pubblico", comune e regione Lombardia, quello che ai sensi della Costituzione repubblicana dovrebbe tutelare gli interessi della collettività. Il primo, il comune assiste senza intervenire sperando che dalla consueta valorizzazione immobiliare arrivi qualche soldo nelle sempre più esangui casse pubbliche. La regione, invece interviene. Eccome. Ha approvato il 16 luglio scorso il piano per il rilancio del settore dell'edilizia. Prevede, tra le altre sconcezze, che i proprietari di immobili produttivi possano aumentare la volumetria esistente (nel caso delle vecchie fabbriche è enorme!) del 35% e cambiare la destinazione d'uso da produttiva a residenziale. Per farlo basta soltanto una semplice deliberazione del consiglio comunale che lo consenta (comma 5 dell'articolo 3). E, dati i rapporti di dipendenza della politica dall'economia, c'è da giurare che tutti i comuni si precipiteranno a consentire la dismissione degli impianti produttivi. La regione Lombardia così silenziosa nella vicenda Innse, è stata invece molto efficiente nel tutelare gli interessi degli speculatori.
Altri palazzi, allora, per la felicità degli energumeni del cemento. Come dare torto al proprietario, al secolo Silvano Genta, se manda a casa gli "esuberi" e si mette a fare speculazione immobiliare? Fare impresa significa investire, innovare, essere in grado di valutare opportunità di mercato. Un mestiere difficile in cui si rischia continuamente. Molto più comodo e senza rischi fare speculazione edilizia. Del resto era stato il piano casa del governo nazionale serviva soltanto a questo, a premiare le grandi proprietà immobiliari; le grandi catene dei supermercati sempre più in difficoltà; le grandi catene di alberghi; i proprietari di grandi fabbriche dismesse.
Ma ancora non bastava. I famelici "imprenditori" nostrani non erano evidentemente soddisfatti ed hanno imposto e ottenuto un altro enorme regalo per la rendita. I primi due scudi fiscali, e cioè il ritorno dei capitali illegalmente esportati all'estero, furono preparati dal ministro Tremonti a partire dal 2001. Rientrarono circa 80 miliardi di euro e non furono utilizzati per investimenti produttivi. Lo disse anche un berlusconiano di ferro come Vittorio Feltri. Ecco un passo dell'editoriale di Libero del 10 aprile 2005: «Berlusconi e Tremonti hanno agevolato il rientro dei capitali dall'estero imponendo una tassa ridicola. I capitali sono rientrati, ma non erano certo i soldi della signora Maria, bensì dei ricchi. E non sono servito a rilanciare l'economia, semmai ad incrementare gli investimenti immobiliari, sicché gli immobili sono aumentati vertiginosamente di prezzo, rendendo impossibile l'acquisto ai non miliardari». Parole sante, ma oggi che si è varato il terzo scudo fiscale tutti zitti. Come sulla vicenda Innse. Un altro fiume di denaro sarà indirizzato verso gli investimenti immobiliari. Mentre l'Europa cerca di costruire un'uscita produttiva dalla crisi, l'Italia berlusconiana è preda della rendita speculativa immobiliare. Un paese senza futuro.

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