LIBRI: YU HUA, ARRICCHIRSI È GLORIOSO, FELTRINELI, PP 437, EURO 19; MA JIAN,
PECHINO È IN COMA, FELTRINELLI, PP 633, EURO 19,50
Il grottesco è la chiave narrativa di due romanzi cinesi usciti di recente: la seconda parte di Brothers di Yu Hua, tradotto da Silvia Pozzi e intitolato dalla casa editrice Feltrinelli Arricchirsi è glorioso, e Pechino è in coma di Ma Jian, edito ancora da Feltrinelli (la traduzione è di Katia Bagnoli). Entrambi sono bipartiti, il primo tra Rivoluzione culturale ed era delle riforme, nella scansione dei due volumi; il secondo tra la cronaca del movimento per la democrazia fino alla strage di Tienanmen e l'accelerazione delle riforme post-1989, separate narrativamente dal coma del protagonista che, ferito il 4 giugno da una pallottola, avverte quanto avviene attorno a lui senza poter comunicare con gli altri.Si tratta, nei due casi, di operazioni ambiziose, anche nella mole, e di dubbia riuscita narrativa: il lettore deve affrontare un'ardua fatica per la sovrabbondanza dei dettagli, la crudezza del linguaggio, le immagini splatter, la dispersione del plot, l'affastellarsi di particolari, quasi che a entrambi gli scrittori risultasse difficile padroneggiare la schizofrenia di uno sviluppo selvaggio.
Al di là degli elementi affini, accomunare Yu Hua e Ma Jian, il primo tuttora residente in Cina, l'altro dal 1987 esule a Londra, dove scrive per il «Times», rischia di far torto a Yu Hua che, nato nel '60 ed esponente di spicco della nuova letteratura cinese, è uno scrittore autentico, capace - soprattutto nel primo volume - di scrivere pagine vibranti sulla rivoluzione culturale. Più vecchio di qualche anno, Ma Jian è più che altro un cronista: il suo libro sul Tibet Tira fuori la lingua, bandito in Cina perché razzista e offensivo della civiltà tibetana, è stato stranamente accolto in Occidente come un omaggio a tale civiltà, pur nella sua barbarie.
Mentre la saga di Yu Hua, uscita tra il 2005 e il 2006, ha avuto largo successo di vendite e ha suscitato discussioni in Cina, come tentato affresco (non sempre ben riuscito) del passaggio brusco dal medioevo alla modernità, Pechino è in coma è un romanzo scritto all'estero e astutamente pubblicato in inglese alla vigilia delle Olimpiadi. La parte più interessante è la descrizione minuziosa del movimento studentesco del 1989, con la trascrizione quotidiana dei dialoghi che si svolgono al suo interno, fino alla repressione finale. Più improbabili le parti in corsivo, che seguono il percorso degli amici sopravvissuti, alcuni emarginati, altri ormai ricchi, e della madre che assiste il giovane in coma e da rigida seguace del Partito comunista si trasforma in adepta della setta del Falun Gong.
Entrambi gli scrittori si sono espressi in questi giorni sul ventesimo anniversario di Tienanmen. Yu Hua, che all'epoca aveva trent'anni, ne ha parlato sul «New York Times», sottolineando che in quei giorni per la prima volta avvertì il significato della parola «popolo», abusata e inflazionata nella Cina comunista. Da parte sua, Ma Jian ha scritto sul «Guardian» sul Tabù di Tienanmen, in modo ovviamente più libero, testimoniando di una sua recente visita in Cina e degli incontri con alcuni amici che vissero quelle giornate e con un soldato che fu mobilitato giovanissimo sulla piazza. Entrambi, insomma, dimostrano di preoccuparsi della memoria cancellata e del fatto che le nuove generazioni non serbino il ricordo del passato. E i loro libri, sebbene letterariamente poco felici, sono mattoni nella costruzione della muraglia del ricordo.