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Passport. Viaggio inglese nell arte contemporanea

MOSTRE
CARNEVALE ROSA,

Chi potrebbe permettersi di esporre un'opera di Damien Hirst accanto ad una tela di Lucian Freud, un video di Douglas Gordon insieme a tre sculture di Henry Moore o ai lavori di Anish Kapoor? Le quotazioni di questi artisti sono ormai da capogiro e nelle aste i collezionisti le rincorrono per milioni di euro. Solo enti museali come la Tate Britain e l'Arts Council possono vantare in Inghilterra una collezione di entità paragonabile. Eppure, grazie alla lungimiranza negli acquisti e alla sistematica attività di mecenatismo, il British Council è riuscito ad aggiudicarsi simili opere per cifre che oggi possiamo definire irrisorie. Girl with Roses di Lucian Freud (nipote del più celebre Sigmund Freud) è costato appena 157 sterline e 10 scellini ma oggi è assicurato per 15 milioni di euro. Lo stesso vale per l'opera a pois multicolor di Damien Hirst (celebre per le sue provocazioni e gli animali in formaldeide), Apotryptophanae, pagata solamente 8500 sterline e recentemente passata all'asta per cifre milionarie. Oggi alcuni di questi lavori sbarcano a Milano e trovano ospitalità negli spazi espositivi del Pac. La mostra, dal titolo eloquente «Passports», è solo una tappa del lungo tour a cui annualmente sono costretti questi gioielli artistici e che presto ripartirà per altre mete internazionali. Quella del British Council è una raccolta che vanta oltre 8000 opere, acquistate in 75 anni di collezionismo che oggi vengono festeggiati con questa collettiva milanese. Difficile per lo spettatore cogliere un senso generale dietro al rincorrersi delle opere sulle pareti. Più facile invece apprezzare la singola bellezza di ciascun lavoro. Ogni opera ha infatti qualcosa da dire sulla storia dell'arte contemporanea e su quella del collezionismo dei nostri giorni. Il titolo della collettiva, «Passports», allude infatti al viaggio che siamo chiamati a fare attraverso i grandi nomi dell'arte britannica, ma fa riferimento anche al percorso compiuto dalle opere a partire dal loro acquisto. Un vero e proprio itinerario attraverso i confini internazionali che farà conoscere al pubblico il «passaporto» di ogni opera, la documentazione che riguarda la sua identità. Anno di acquisizione, prezzo, misure, numero di mostre, sono i dati riportati in questi documenti, simbolo della globalizzazione che tutto muove e tutto apparenta e di un mercato i cui attori più autorevoli hanno la capacità ormai di dettare legge impostando le regole dell'intero mondo dell'arte. Dimenticandoci dei prezzi (troppe volte ostentati come sinonimo di qualità indiscussa) alcune delle opere in mostra hanno però veramente il carattere dei veri capolavori. Si va dalla poetica e sfuggente visione del video di Steve McQueen (che quest'anno rappresenta l'Inghilterra alla Biennale di Venezia con un film di surreale bellezza) alla minacciosa realtà della tela di Frued che ritrae la moglie Kitty con in mano una rosa. In mezzo agli artisti considerati «britannici» vi sono anche alcuni «adottati»: Chris Ofili è nato a Manchester da una famiglia nigeriana e usa riferimenti alla cultura nera dipingendo con sterco di elefante essiccato; Mona Hatoum è invece di nascita palestinese ma vive in Inghilterra dove lavora sui temi del conflitto e del corpo. Tra le star da museo ecco anche David Hockney, Gilbert & George, Tony Cragg. Bellezze durature o destinate a sfiorire come le cinquecento gerbere rosse della scultura di Anya Gallaccio, che in Preserve Beauty gioca con la caducità dell'opera d'arte?

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