POLITICA & SOCIETÀ

«Il G8? Guardiamo alle lotte sociali»

INTERVISTA Olivier Besancenot (Npa)
RUSSO SPENA GIACOMO

È sempre stato in prima fila nelle manifestazioni contro i G8 così come a tutti gli appuntamenti del movimento altermondialista. Lui e il suo Npa (Nuovo partito anticapitalista), che dal movimento ha attinto giovani militanti, consensi e parole d'ordine («rivoluzione», «rovesciamento del capitalismo», «rottura con le socialdemocrazie»). Ma stavolta nemmeno loro si sono mobilitati per il summit dell'Aquila. Segno che una fase si è conclusa? Olivier Besancenot è il 34enne postino trotzkista che ha portato una ventata di novità (e di radicalità) nella sinistra francese in crisi.

Ieri è cominciato il G8. La mobilitazione segna un po' il passo, anche dall'estero. È un segnale che anche i movimenti europei sono in crisi?
La crisi sta producendo normalizzazione e i movimenti hanno alti e bassi. Però in questi ultimi mesi ci sono stati segnali in Francia, con i «sequestri» dei padroni delle aziende in crisi, e in Grecia con le rivolte dopo l'omicidio del giovane Alexis. Senza dimenticare le proteste studentesche italiane e spagnole. Le classi dirigenti non sono tranquille, non sanno come uscire dalla crisi. E la sinistra radicale deve spingere affinché le lotte si rafforzino e occupino quello spazio politico.

Nel frattempo vi state ripensando. Dalla Lega comunista rivoluzionaria avete dato vita all'Npa. Di cosa si tratta, una federazione di forze o un nuovo soggetto politico?
Per 17 anni in Francia si è provato a ricostruire un partito di sinistra unitario, con scarsi risultati perché ogni apparato era geloso della propria storia e simbologia. Così non abbiamo promosso un cartello elettorale delle forze esistenti ma qualcosa di nuovo. Partendo dal basso. Abbiamo riunito guevaristi, libertari, trozkisti e comunisti. Persone con esperienze diverse accomunate da un'opposizione intransigente al capitalismo. E che non provengono dal sindacato o altre organizzazioni ma dai movimenti sociali.

Nei suoi comizi parla di «rivoluzione», «conflitto di classe» e «violenza degli oppressori». Con questi proclami non crede di allontanare una parte della sinistra?
Siamo di fronte a un paradosso: i proletari, quelli costretti a vendere la propria forza lavoro materiale o immateriale, non sono mai stati così numerosi, eppure non c'è mai stata una coscienza di classe così bassa. Dobbiamo rideclinare il soggetto rivoluzionario del XXI secolo perché la maggioranza della popolazione strappi di mano il potere a chi lo detiene. In questo quadro non ho problemi a parlare di violenza e di lotta classista, reazioni ad una società capitalistica violenta.

Le ultime europee dimostrano un'uscita a destra dalla crisi globale. Come intervenire?
Il collasso economico può produrre sia il meglio che il peggio. Da una parte rappresenta un'occasione per una ripresa delle lotte sociali a livello europeo, e dall'altro, in assenza di vittorie collettive, rafforza la guerra tra poveri e la xenofobia. Dobbiamo scardinare le misure di ristrutturazione del capitalismo altrimenti la destra dilagherà.

Alle elezioni non avete superato la soglia del 7%. Un passo falso?
Sono soddisfatto del risultato, considerando che è stato il nostro debutto elettorale. E poi il nostro progetto europeista va avanti: esiste un coordinamento delle forze anticapitaliste che unisce 15 paesi. Bisogna investire su una nuova generazione che oggi vive nelle lotte in Francia, Italia, Grecia. Non si possono avere le risposte pronte o i programmi già scritti, ci sarà molto da inventare insieme.

Qualche voto non ve l'ha «rubato» il polo ecologista, arrivato al 16%?
Ci ha penalizzato l'astensione, altissima soprattutto nei nostri settori di riferimento: tra i giovani e nei quartieri popolari. Cohn Bendit ha rappresentato invece un voto di centro e ha penalizzato molto il partito di Bayrou.

In Francia c'è una sinistra molto frammentata. Se uniti, non ci sarebbero le basi per un'alleanza a vocazione maggioritaria?
Abbiamo già proposto un cartello unitario a sinistra e siamo in rapporto stretto con i comunisti, non col polo ecologista che al momento è solo una sigla elettorale. L'alleanza è possibile solo con due discriminanti, estranee alla cultura di Cohn Bendit: il profilo anticapitalista della coalizione e nessuna prospettiva di governo coi socialisti. Né a livello locale, né nazionale. Non ci si può battere contro i licenziamenti e stare in giunte di centrosinistra che sovvenzionano le imprese che mandano i lavoratori in cassa integrazione. Ripudiamo il doppio discorso: uno nelle strade, l'altro nelle istituzioni. Come si fa a manifestare contro la guerra in Afghanistan e poi votare l'invio delle truppe in Parlamento?

Sembra chiaro il riferimento all'Italia. Dove la sinistra è frammentata e perdente.
I dilemmi della sinistra sono comuni in tutta Europa. Sono due le tattiche possibili e una va contro l'altra. O la sinistra radicale cerca di prendere più voti possibili per pesare all'interno delle coalizioni di governo, e per me è un modello perdente perché la socialdemocrazia va sempre più a destra e così non si cambierà mai la società. Oppure, ed è l'opzione che più mi convince, si assume la propria indipendenza politica e di classe dalle forze più moderate. Si perderà qualche eletto nelle istituzioni senza gli accordi elettorali, ma ne guadagnerà la politica, con una nuova generazione che ha voglia di radicalità.

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