LIBRI: MARIO PORTANOVA, DICHIARAZIA, BUR, PP. 312, EURO 10
Chi, venerdì scorso, ha guardato il frammento video di Sky dove appare un Silvio Berlusconi che telefona a Niccolò Ghedini mentre sfoglia la rassegna stampa del mattino, non potrà che apprezzare il libro di Mario Portanova Dichiarazia, un massiccio tomo dove il balletto quotidiano di dichiarazioni e smentite dei nostri politici è raccolto con pazienza certosina. Nel video, presente su tutti i siti dei maggiori giornali italiani, si vede un Berlusconi che ripete ossessivamente «Non ho mai detto che...», smentendo a beneficio del suo collaboratore di aver affermato, tra l'altro, che «Ghedini è pazzo».
È un peccato che Berlusconi neghi la paternità dell'unico commento sensato attribuitogli in questi giorni, perché l'avvocato Ghedini, intervenendo per difenderlo dall'accusa di favoreggiamento della prostituzione nell'inchiesta di Bari, ha pronunciato una battuta ormai memorabile: «Berlusconi non sarebbe punibile (per eventuali rapporti sessuali a pagamento) in quanto utilizzatore finale». Come ha scritto Giuliano Ferrara, si tratta di «una bestialità culturale e civile» di cui i giornali si sono deliziati. Ghedini non è nuovo al tentativo di lanciare il cuore oltre l'ostacolo, anzi oltre la telecamera, per difendere il suo datore di lavoro. Nel marzo 2003, per esempio, lamentando la convocazione di B. nel processo di Milano, aveva dichiarato: «Il tribunale ha ritenuto più importante l'udienza davanti a sé che non un impegno in Medio Oriente per cercare di risolvere gravissimi problemi, con stragi quotidiane» (Portanova, p. 260). Ecco, se in Palestina le stragi continuano, sappiamo di chi è la colpa: dei giudici di Milano che hanno impedito a B. di occuparsene.
Chi, come me, non possiede televisione, trova nel libro di Mario Portanova un tale numero di dichiarazioni improbabili da far nascere il sospetto che il volume sia un roman à clef, una satira del berlusconismo, malattia senile del capitalismo italiano. Per esempio, voi credereste davvero che qualcuno abbia detto: «Ci rivolgeremo anche agli elettori di centrosinistra perché guardino con occhi diversi al presidente Berlusconi, il presidente di tutti, un uomo che ha portato nella politica italiana innanzitutto una ventata di moralità e di pulizia»? La risposta è sì: Sandro Bondi, in una intervista del 17 settembre 2003, al «Giorno». E lo stesso Bondi, un mese prima, aveva proclamato la necessità di «difendere fino in fondo Berlusconi e la sua maggioranza dall'accanimento persecutorio dei giudici. Fino al sacrificio del nostro corpo» («Il Giornale», 8 agosto 2003). L'attuale ministro della cultura, scrive Portanova, dal 2000 al 2008 ha fornito all'Ansa circa quattromila interventi, «con una media che sfiora perciò i cinquecento all'anno, circa uno e mezzo al giorno, ferie e festività comprese».
Un modo di leggere Dichiarazia è quello di godersi spensieratamente le contraddizioni, le enormità, le balle spaziali di cui il centrodestra è quotidiano produttore, con marginali aiuti da parte degli inetti politici di centrosinistra. Una perfetta lettura sotto l'ombrellone. Da parte mia, però, trovo questo libro profondamente inquietante, perché fornisce prove ad abundantiam della crisi della sfera pubblica, una crisi che non nasce oggi ma che è il portato di tendenze di lungo periodo. In democrazia, la politica si fonda sulla parola, sulla parola che si trasforma in azione. Ma cosa succede se l'alluvione di parole in televisione si trasforma in rumore di fondo, in suoni indistinguibili fra loro?
Venticinque anni fa, Joshua Meyrowitz pubblicò un libro straordinariamente originale, Oltre il senso del luogo, in cui profetizzava che la televisione avrebbe avuto come effetto il ritorno a culture orali, a un «nomadismo elettronico» in cui le antiche gerarchie stabili, fondate sulla parola scritta, sarebbero crollate. Gran parte delle sue previsioni si sono avverate ma il risultato è stata l'ascesa di oligarchie del denaro che hanno sostituito la piazza con il talk show, il confronto dei programmi con il confronto delle facce. Non a caso Meyrowitz prevedeva l'ascesa di politici dal look blando, simile a quello dei presentatori del telegiornale: dopo Clinton e Blair ora abbiamo direttamente David Sassoli, passato dal Tg1 al parlamento europeo a sostituire la sua collega Lilli Gruber.
Ciò che la televisione commerciale ha portato in Italia è la trasformazione dello statuto ontologico del discorso politico: oggi le dichiarazioni sono percepite come parte dello spettacolo delle elezioni (o degli scandali pre e post-elettorali), a sua volta parte dello spettacolo globale che riempie la sfera pubblica. Se i politici sono visti come intrattenitori non stupisce che la considerazione nei loro confronti sia minima e che, nello stesso tempo, lo showman più abile sia sempre al centro della scena, con i suoi clown, nani e ballerine.
Da questo punto di vista, la posizione di Berlusconi è solidissima perché la maggioranza degli italiani sembra aver accettato l'idea di uno spettacolo politico dal copione alquanto logoro ma comunque un cabaret che non accetta altra logica se non la propria. È curioso che un uomo di spettacolo come Giuliano Ferrara si senta costretto a scrivere che occorre «ridare il senso e la dignità di una grande avventura politica, (...) reagire con scrupolo, intelligenza e forza d'animo» perché «la situazione si è fatta grave, e perfino seria». Ma per «ridare dignità all'avventura politica» di B. occorrerebbe smentire quindici anni di comunicazione politica basata proprio sul suo contrario: l'esibizione del corpo, l'eccesso, il ripudio di qualunque valore diverso da quelli della televisione commerciale. L'operazione veline-candidate era perfettamente coerente con questo modello di azione politica, prima che con le pulsioni notturne di Berlusconi. Lungi dall'essere «ciarpame», le graziose fanciulle candidate o candidabili erano parte di una strategia in cui l'unica cosa che il governo può fornire al popolo sono i circenses perché è da tempo che assicurare il panem è fuori della sua portata.