Bassi salari, contratti atipici, irregolarità. E il Belpaese non attrae più come una volta. La terra di santi e navigatori, con oltre 5 mila siti di interesse culturale-artistico, produce cattivo lavoro, servizi scadenti e pochi guadagni per le imprese. Meta di viaggi per lo studio di arte e storia o la scoperta di coste, isole e montagne, città e paeselli, l'Italia non solo ha perso la medaglia d'oro che aveva negli anni '70 per presenze turistiche, ma è scesa anche dal podio per attestarsi in quinta posizione. Le città d'arte hanno il 7% di visitatori in meno e gli investimenti nel settore sono scesi a 39 miliardi, contro i 70 della Spagna. Il quadro esce dal rapporto «La condizione lavorativa nel turismo» promosso presentato ieri a Roma dalla Filcams Cgil.
Cosa è accaduto e di chi è la colpa? «L'eccessiva stagionalizzazione del mercato turistico, concentrato solo in alcuni periodi - dice Franco Martini, segretario Filcams Cgil - dipende dalla capacità di organizzare eventi per attrarre persone». È un problema, cioè, che si può superare con la ricerca e la creazione di attrattive spalmate su tutto l'anno. Sul piano legislativo, poi, la modifica del titolo V della Costituzione porta le Regioni a gestire il proprio turismo in modo slegato rispetto al resto del paese, «mancano ad esempio criteri omogenei per catalogare le strutture alberghiere. Il localismo può valorizzare i territori, ma serve un coordinamento nazionale». Anche secondo Guglielmo Epifani, segretario generale Cgil, «l'assetto federale è il primo problema»: Epifani sottolinea l'assenza al convegno, a cui era stata invitata, del ministro Michela Vittoria Brambilla, perché «l'istituzione di un ministero non sia propaganda. Il turismo non si tratta con l'immagine, dietro c'è il lavoro di un milione di persone».
Il lavoro, appunto. La ricerca dimostra come produttività, qualità e competizione siano il prodotto della valorizzazione e della formazione al lavoro. Concetto ribadito anche da Elena David, presidente di Aica Confindustria (associazione italiana delle catene alberghiere) perché «il mestiere non si impara più sul campo e ci deve essere una formazione strutturata nelle scuole e nelle Università». Allo stesso tempo però «la formazione è una pratica incompatibile con la precarietà» come dice Martini. A fine anno, intanto, scade il contratto e si deve pensare al rinnovo. La Cgil si dice pronta a un tavolo largo per definire una piattaforma unitaria «contro gli interventi a gamba tesa del governo alle pratiche di contrattazione e concertazione». Tutela dei lavoratori, apprendistato che con la stagionalizzazione interrompe un percorso di formazione, verifica delle applicazioni dei contratti, contrattazione di secondo livello, questione delle esternalizzazioni. Sono per la Cgil alcuni punti da definire. Si attendono Cisl e Uil.
Tutto questo si aggiunge alla piccola dimensione delle aziende turistiche italiane, un nanismo che «dà un'offerta di nicchia, ma apre un problema perché ci sono meno investimenti e quindi meno qualità. Quando usciremo dalla crisi - conclude Epifani - potremo fare meno affidamento sulle esportazioni manifatturiere. Dovremo riorganizzare la domanda interna e, per sfruttare il turismo, il nostro petrolio, dovremo essere non frammentati e misurarci con le cause che hanno causato il deterioramento di oggi».