POLITICA & SOCIETÀ

La dignità del lavoro, la sordità della politica. Il Novecento di Trentin

MEMORIA
TORBIDONI GIULIA,

Mirafiori, il Lingotto, la sede della Cgil a Roma e il sindacato «che deve occupare la frontiera dei diritti». Il film su Bruno Trentin «Con la furia di un ragazzo» di Franco Giraldi è il distillato di 10 ore di intervista che il regista raccolse nel 1998. La pellicola, proiettata due giorni fa alla Casa del Cinema di Roma, è un «documento che aiuta a riflettere - come dice Caterina D'Amico, amministratore delegato di Rai Cinema - ci fa confrontare con il mondo del lavoro in una chiave diversa».
Alla telecamera Trentin confessa che quella furia di lottare per i diritti è un'eredità di Giuseppe Di Vittorio «sempre ossessionato dall'idea di capire e di costruire soluzioni». Così, quando nel 1962 inizia a dirigere la Fiom, si getta nella lotta contrattuale dei meccanici. «Era la riforma più importante, lo scontro era sul diritto di contrattare in azienda. I giovani rompevano il clima di disciplina e omertà, bruciavano le tessere del sindacato giallo e nel giugno del 1963 tutti gli stabilimenti della Fiat erano paralizzati».
L'autunno caldo del '69 porta al rinnovo dei contratti e nella lotta subentrano soggetti nuovi come il movimento studentesco e nasce l'unione tra sindacato e operai: «lo sciopero era lo strumento per colpire la produzione e arrivano forme di sciopero articolato. Con le assemblee emerge la disciplina di massa dentro il sindacato e contro questo movimento le hanno tentate tutte». Ed ecco puntuali le stragi «di chiara matrice di destra e provenienti dai servizi deviati, ma il movimento ha retto e ha mantenuto l'asse sul fine contrattuale». La risposta secca del sindacato è anche al terrorismo e la tragedia di Guido Rossa, ucciso dalle Br, segna «la sconfitta delle Br».
Il racconto torna all'infanzia con i genitori antifascisti esuli in Francia, agli anni della Resistenza, alla laurea in giurisprudenza, al lavoro nell'Ufficio studi della Cgil.
Il documento si conclude con gli ultimi impegni di Trentin nella Cgil, che diresse dal 1988 al 1994. E' un tempo in cui si sente il «divorzio» tra le persone e un sindacato «ripiegato sulla burocrazia dell'organizzazione». In questo clima si arriva agli accordi del '92 con il governo Amato che portano all'abolizione della scala mobile: «Decisi di firmare e dimettermi perché con la firma disattendevo il mandato ricevuto dai lavoratori, ma se non firmavo contribuivo all'acuirsi della crisi politica, economica e finanziaria e alla colpevolizzazione della Cgil». Su richiesta della Cgil, però, ritira le dimissioni e nel 1993, con il governo Ciampi, arriva a nuovi accordi: «un'intesa che prevedeva un contratto di lavoro ogni 4 anni e una verifica per adeguare il salario al costo della vita ogni 2. Si garantiva la contrattazione in tutti i luoghi di lavoro». È a questo punto che Bruno Trentin cede il passo agli altri.
A meno di due anni dalla morte, il film sembra risarcire, almeno in parte, i lavoratori della mancanza di «un intellettuale militante» come lo ha definito Pietro Ingrao. «Il documentario presenta molto bene l'urto e la tragicità della lotta, dà il senso della concretezza della protesta operaia». Ingrao sottolinea l'influenza che Trentin ha esercitato su molti protagonisti di quegli anni, «il suo insegnamento più grande è stato la lettura del '900. In che Italia eravamo? Cosa stava succedendo? Lui si è impegnato a capire il tempo in cui eravamo cresciuti e in cui vivevamo». Ingrao ricorda «la polarizzazione attorno alle due interpretazioni principali del capitalismo: quella di Amendola e Sereni e quella che arrivava dal sindacato. I primi avevano una visione del capitalismo come di un mondo di arretratezza. Dal mondo del sindacato arrivava invece l'idea che il capitalismo era cambiato, si era evoluto. L'avvento del fordismo trasformava il lavoro: questo era l'avversario».

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